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Fuggita dall’Iran: Sadaf Baghbani, 147 pallini di piombo in corpo

In scena in Italia con lo spettacolo di un altro expat, la star iraniana Ashkan Khatib

Claudio MoschinbyClaudio Moschin
Fuggita dall’Iran: Sadaf Baghbani, 147 pallini di piombo in corpo

Sadaf e Ashkan /Claudio Moschin

Time: 3 mins read

Il 4 novembre 2022 una giovane ragazza iraniana di nome Sadaf Baghbani, con la passione della recitazione, uscì di casa per andare alla cerimonia in ricordo di una ragazza uccisa. La polizia per disperdere la folla iniziò però a sparare con delle armi caricate con pallini da caccia. Sadaf fu colpita in varie parti del corpo: sul viso (vicino agli occhi), sulle gambe, sulle mani e sulle braccia, sul torace, e ancora oggi porta dentro di se esattamente 147 pallini di piombo.

Fu recuperata da alcuni altri manifestanti, caricata in auto e portata via dal luogo degli spari. Ma per paura di ripercussioni, nessun medico di Teheran quel giorno ebbe il coraggio di curarla. Di certo non in ospedale, perchè le Guardie della Rivoluzione già presidiavano tutti gli ospedali cittadini, alla caccia di feriti in arrivo, giusto per arrestarli.

Dopo un anno di sofferenze, passato in clandestinità, Sadaf (che mai prima di allora aveva lasciato l’Iran) ha deciso di abbandonare il suo Paese. Ed è arrivata a Milano tre mesi fa. Per farsi curare e recitare, in uno spettacolo andato in scena al Teatro Parenti. Un dramma scritto e diretto da  Ashkan Khatibi che ha voluto raccontare proprio la vicenda della stessa Sadaf.

Ashkan in Iran era una star del cinema e della musica, attore, regista, musicista e conduttore tv tra i più noti. Anche lui però è stato costretto a fuggire dall’Iran dopo essere stato più volte fermato, minacciato, arrestato e tenuto sotto stretto controllo dalle autorità perchè simpatizzava per le proteste. Dopo la fuga, a lungo è rimasto bloccato in Turchia, poi è arrivato in Italia come richiedente asilo e qui ha iniziato una nuova vita artistica. E sul palco, ritmato dalla musica rap persiana, linguaggio ufficiale della protesta della nuova generazione iraniana, entrambi hanno voluto ricordare anche il nome e il volto di Toomaj Salehi, artista che con il suo rap ha messo in musica la rabbia dei giovani contro il regime degli ayatollah. Gia rinchiuso in carcere da circa un anno e mezzo, Toomaj pochi giorni fa è stato condannato a morte per impiccagione.

Ho incontrato Sadaf e Ashkan a Milano.

Sadaf, che cosa le è successo?

“Il 4 novembre 2022 sono andata con altre persone alla cerimonia dei quaranta giorni dalla morte di Hadis Najafi, una ragazza uccisa dal regime. A Karaj, a quaranta chilometri da Teheran. In migliaia abbiamo occupato la strada che porta verso il cimitero dove si trova la sua tomba. Camminavamo e urlavamo “morte al dittatore”. Nessuna donna quel giorno portava il velo. C’erano tantissime guardie, e per disperderci hanno però iniziato a spararci contro. Sono scappata. A un certo punto è come se fossi stata colpita da dei sassi, e sono caduta per terra. All’inizio, non avevo capito che erano proiettili, ho pensato alle pietre. Ma poi ho visto le mie mani ferite, il sangue colarmi dalla faccia. Non vedevo più da un occhio. Un uomo mi ha aiutata. Ma non mi poteva portare in ospedale perché avrebbero arrestato anche lui.  Gli ospedali avevano l’ordine di avvertire l’autorità se arrivavano i manifestanti feriti”.

Sadaf Bagbhani /Claudio Moschin

Si è mai pentita di aver preso parte alle proteste?

“No, mai. Ogni volta che sono scesa in strada ho messo in conto che sarei potuta anche non tornare a casa viva”.

Che cosa vuol dire essere donna a Teheran?

“Vuol dire tacere, non parlare, non protestare”.

Ora dovrà rimuovere quei 147 pallini che ha in corpo?

“Qualcuno sì. I proiettili si spostano dentro di me. All’inizio erano ben visibili, adesso molto meno, e alcuni pallini si sono avvicinati agli organi vitali, al cuore. È pericoloso. Charamente ho paura di essere operata. Ne avrei meno a scendere di nuovo in piazza in Iran per protestare”.

Chi l’ha aiutata a venire in Italia?

“Sapevo che un regista e attore iraniano famoso, Ashkan Khatibi, viveva in Italia e aveva dato una mano ad altre persone per uscire dal Paese. Con il suo aiuto e quello del traduttore Michele Marelli sono riuscita a ottenere un visto di studio. In Iran ho lasciato la mia vita, la mia famiglia, mia madre e le mie adorate sorelle. Oggi devo molto ad Ashkan Khatibi”.

Ashkan Khatibi/Claudio Moschin

Ashkan, lei porta avanti dall’Italia una sua battaglia contro il regime iraniano?

“Si. Racconto ogni giorno quel che accade nel mio Paese. La mancanza di libertà, la repressione.”

Lei cosa ha lasciato in Iran?

“Tutto. Ero famoso, lavoravo, insegnavo teatro, recitavo nei film, avevo una casa. Ora ho perso tutto. E devo ricominciare qui in Italia”.

Perchè ha scelto di raccontare su un palcoscenico la vicenda di Sadaf?

“Perchè è un po’ il simbolo di quanto accade ogni giorno. Devo dire sinceramente che pensavo inizialmente di raccontare la mia esperienza personale, ma poi quanto accaduto a Sadaf meritava di più. Lo spettacolo, che si intitola Le mie tre sorelle, ci è stato ora richiesto da altri teatri in Italia e all’estero. Ci hanno chiamato anche dagli Stati Uniti e dal Canada. Ma per ora si pone il problema dei documenti di Sadaf, che al momento ha ricevuto solo un permesso di studio e non può recarsi all’estero. Ma risolveremo”.

Cambierà qualcosa in Iran?

“Lo speriamo tutti, davvero”.

 

 

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