L’unificazione di Taiwan alla Cina ci sarà. Meglio se con le buone, ma all’occorrenza anche con le cattive. È questo l’inequivocabile messaggio emerso dall’incontro tenutosi mercoledì tra il leader di Pechino Xi Jinping e l’ex presidente di Taipei Ma Ying-jeou.
L’ex leader di Formosa, in viaggio nella Cina continentale con un gruppo di studenti, ha fatto visita a Xi nella Grande Sala del Popolo di Pechino, solitamente utilizzata per ospitare alti dignitari stranieri del calibro di Henry Kissinger. Ma è un esponente di lunga data del partito di opposizione Kuomintang (KMT), artefice della secessione del 1949 con il capostipite Chiang Kai-shek ma oggi fautore di rapporti più sereni con Pechino, pur rifiutando tassativamente la riunificazione.
Inevitabile che si finisse a parlare del futuro di Taiwan, che Pechino è sicura sia sinonimico di futuro della Repubblica Popolare. “Le interferenze esterne non possono fermare la tendenza storica di riunire il Paese e la famiglia”, ha detto Xi secondo i media taiwanesi, aggiungendo che “non c’è rancore che non possa essere risolto, nessun problema che non possa essere discusso e nessuna forza che possa separarci”.
Secondo i resoconti di Taipei, Ma avrebbe definito lo scenario di un possibile conflitto tra le due parti come “un fardello insopportabile per la nazione cinese”, dicendosi sicuro che “il popolo cinese su entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan avrà abbastanza saggezza per gestire le dispute in modo pacifico ed evitare i conflitti”.
L’incontro di mercoledì arriva a otto anni di distanza dallo storico incontro del 2015 tra i due nel campo neutro di Singapore, poco prima del termine del secondo mandato di Ma da presidente del territorio conteso. Vertice che, nonostante gli scarsi risultati pratici, ebbe enorme valore simbolico in quanto primo faccia-a-faccia tra i leader di Taiwan e della Cina da oltre mezzo secolo.
Alle successive elezioni del 2016, il KMT sarebbe stato peraltro sonoramente battuto da Tsai Ing-wen, candidata del Partito Progressista Democratico (DPP) assestato su linee decisamente più oltranziste e anti-Pechino – che ha poi dominato anche le tornate elettorali del 2020 e del 2024.
Se la strategia di Ma era quella di ingraziarsi il Dragone con un appeasement calibrato, la politica dell’attuale leadership taiwanese è piuttosto quella di prepararsi all’inevitabile scontro con Pechino rafforzando le alleanze internazionali – in particolar modo quella con gli Stati Uniti. Non a caso nei mesi precedenti la vittoria del neo-presidente Lai Ching-te, il suo vice, Bi-khim Hsiao, ha viaggiato in Europa e in altri Paesi favorevoli alla narrativa di Taiwan.
E la strategia ha pagato, dal momento che l’amministrazione Biden pare sempre più risoluta a intervenire al fianco di Taipei in caso di invasione cinese.