“No Tech for Apartheid”: si chiama così il movimento di protesta nato tra i dipendenti Google, che da tempo chiedono all’azienda statunitense di abbandonare il Progetto Nimbus, un contratto da 1,2 miliardi di dollari con Israele, stipulato insieme ad Amazon.
Il gruppo conta oggi circa 40 dipendenti strettamente coinvolti nell’organizzazione, che affermano che vi sono altre centinaia di lavoratori mostratisi solidali nei loro confronti. Alcuni membri del movimento hanno spiegato ai microfoni della rivista TIME che all’interno dell’azienda vi è un crescente senso di rabbia dinanzi alla possibilità che il colosso statunitense aiuti Israele nel corso del conflitto a Gaza. Una eventualità che ha addirittura portato alcuni dipendenti a dimettersi. Altri invece, come il ventitreenne Eddie Hatfield, sono stati licenziati proprio a causa della loro contrarietà nei confronti del Progetto Nimbus.
Secondo il ministero delle Finanze israeliano, il contratto in questione prevede che Google e Amazon forniscano servizi di AI e cloud computing al governo e all’esercito locale. Con l’attivazione di Nimbus, Google creerà un’istanza sicura del suo Cloud sul territorio israeliano, che consentirà al governo di eseguire analisi dei dati su larga scala, formazione dell’AI e l’hosting di database. Gran parte della frustrazione dei dipendenti risiede nella mancanza di trasparenza da parte di Google su cos’altro comporti il Progetto Nimbus e sull’intera natura del rapporto dell’azienda con il Paese.
Né Google, né Amazon, né il governo mediorientale hanno descritto le capacità specifiche offerte alla nazione nell’ambito del contratto.
I lavoratori del colosso americano affermano di basare le loro proteste su tre principali fonti di preoccupazione: la dichiarazione esplicita del ministero delle Finanze israeliano del 2021, secondo cui Nimbus sarebbe stato utilizzato dal ministero della Difesa; la natura dei servizi disponibili per il governo israeliano all’interno del cloud di Google; e l’apparente incapacità della società di monitorare ciò che Israele potrebbe fare con la sua tecnologia. I dipendenti temono che i potenti strumenti di AI di cloud computing possano essere utilizzati per la sorveglianza, il targeting militare o altre forme di armamento.
“Non abbiamo molta sorveglianza su ciò che fanno i clienti del cloud, per comprensibili ragioni di privacy”, ha spiegato Jackie Kay, ingegnere ricercatore presso il laboratorio DeepMind AI di Google, “Ma allora che garanzia abbiamo che i clienti non stiano abusando di questa tecnologia per scopi militari?”.
“Credo che Google mi abbia licenziato perché ha visto quanta trazione sta ottenendo questo movimento all’interno dell’azienda”, ha invece dichiarato Eddie Hatfield, il ventitreenne membro del “No Tech for Apartheid”, “volevano fare di me un esempio”. A marzo, a New York, il giovane interruppe la conferenza stampa dell’A.d della società per Israele, Barak Regev, per poi perdere il proprio posto di lavoro 3 giorni più tardi.
Il licenziamento del giovane dipendente, ha successivamente convinto altri due lavoratori dell’azienda a dimettersi. Tra questi, vi è Vidana Abdel Khalek, che nella sua lettera di “congedo” ha affermato: “Nessuno è venuto a Google per lavorare su una tecnologia militare offensiva. Se si fornisce un cloud AI a un governo che sta commettendo un genocidio e sta abusando di questa tecnologia per danneggiare civili innocenti, allora si è ben lontani dall’essere neutrali”.