Respinta dalla Appellate Court di New York la richiesta presentata questa mattina dagli avvocati di Donald Trump di rinviare il suo processo fissato per il 15 aprile.
La decisione emessa dal magistrato Lizbeth Gonzalez è stata resa nota poche ore dopo che era stata avanzata la richiesta, una settimana prima dell’inizio della selezione della giuria.
Gli avvocati di Trump avevano sostenuto in un’udienza di emergenza che il processo avrebbe dovuto essere rinviato mentre cercavano di spostare la sede fuori da Manhattan, perché “troppo” democratica.
L’avvocato di Trump, Emil Bove, aveva sostenuto che il suo cliente, in quanto “presunto candidato repubblicano per le elezioni presidenziali, si trova ad affrontare un forte pregiudizio” come imputato nella Manhattan solidamente democratica. Bove ha sostenuto che la selezione della giuria, prevista per lunedì prossimo, “non può procedere in un modo equo”. Trump aveva suggerito sui social media di spostare il processo a Staten Island, l’unico distretto di New York da lui vinto nel 2016 e nel 2020, in cui il procuratore distrettuale repubblicano rifiutò di incriminare gli agenti che uccisero, soffocandolo, Eric Garner, un afroamericano disarmato che vendeva per strada le sigarette sciolte.
La giudice Lizbeth Gonzalez nel corso dell’udienza aveva osservato che non si trattava di un appello di per sé, ma della richiesta della difesa di una sospensione d’emergenza – un’ordinanza del tribunale per forzare un rinvio per l’inizio del processo.
Steven Wu, dell’ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan, ha affermato che il giudice Juan M. Merchan aveva già respinto le richieste di Trump di spostare o ritardare il processo. E per questo gli avvocati si sono rivolti alla Appellate Court. “La questione non è se i newyorkesi possano essere imparziali, ma se un tribunale di primo grado sia in grado di selezionare una giuria di 12 giurati imparziali”, ha detto Wu, incolpando Trump per aver alimentato un clima ostile con le sue accuse non vere e con “innumerevoli apparizioni sui media”.
La richiesta degli avvocati di Trump non è stata resa pubblica dal tribunale.
Una persona a conoscenza della questione ha dichiarato al New York Times che, oltre a contestare il luogo del suo processo, Trump si è anche opposto all’ordine del magistrato Merchan che ha vietato all’ex presidente di fare commenti sul processo, sui testimoni, sui giurati, sugli inquirenti e anche sulla sua famiglia.
Trump aveva più volte detto che sarebbe ricorso in appello dopo che Merchan aveva stabilito il mese scorso che il processo sarebbe iniziato il 15 aprile. I suoi avvocati avevano chiesto di ritardare il processo almeno fino all’estate per dare loro più tempo per esaminare le prove inviate dagli agenti federali che avevano indagato su questa vicenda.
Merchan, che aveva già spostato il processo dalla data di inizio originale del 25 marzo, ha affermato che non erano giustificati ulteriori ritardi.
Il processo ora dovrebbe iniziare tra una settimana a Manhattan. Trump teme l’impatto che questo giudizio possa avere sull’opinione pubblica perché una delle accusatrici chiave, la pornostar Stormy Daniels, ha detto nel suo documentario Stormy che è pronta a raccontare come conobbe l’ex presidente e a rivelare i dettagli del loro rapporto al tempo in cui il tycoon era già sposato con Melania Trump e da cui aveva avuto un figlio. Un’altra donna, l’ex coniglietta di Playboy, Stephanie Clifford, ha raccontato invece come Michael Cohen abbia organizzato l’incontro con l’editore del National Enquire per ottenere l’esclusiva del racconto sulla loro love story quando Trump era il protagonista del reality show “The Apprentice”. Un racconto pagato con 150 mila dollari dal settimanale scandalistico che includeva anche la clausola di non rivelare ad altri i particolari della vicenda e che non venne mai pubblicato.
L’ex presidente è accusato di aver ordinato al suo avocato-faccendiere, Michael Cohen, di aver organizzato i pagamenti nascondendoli nella contabilità della sua holding, la Trump Organization, mimetizzandoli come spese legali per evitare che le notizie dell’allora candidato alla Casa Bianca venissero rese pubbliche a pochi giorni delle elezioni del 2016.