Un sondaggio pubblicato martedì dall’Israel Democracy Institute, un think tank di Tel Aviv, ha rilevato che il 59% degli ebrei israeliani si oppone alla creazione di uno stato palestinese come parte di un accordo per porre fine alla guerra tra Israele e gli islamisti di Hamas.
Questo dato dovrebbe essere sufficiente per capire che i negoziati multilaterali per mettere fine al massacro della popolazione di Gaza da parte di Israele, sul futuro della striscia e anche della Cisgiordania occupata e, va sempre ricordato, di Gerusalemme Est, territorio occupato – dove proprio ieri il nuovo, molto discusso, presidente argentino ha detto a Netanyahu che vuole trasferire l’ambasciata del suo paese – sono sopratutto una maratona della diplomatizia, tragica e orribile, per cercare di evitare un conflitto più vasto.
Uno dei suoi protagonisti più importanti è ovviamente il presidente americano Biden che proprio ieri, parlando in televisione, non è riuscito a ricordare il nome dell’organizzazione che ha scatenato la guerra con il suo attacco a Israele del 7 ottobre.
“C’è del movimento e non voglio, non voglio… beh, forse devo scegliere bene le mie parole. C’è del movimento, c’è stata una risposta da… c’è stata una risposta da parte dell’opposizione…
“Hamas?”, è intervenuto un giornalista cercando di aiutare il presidente visibilmente imbarazzato e in difficoltà. “Sì… da parte di Hamas”, ha detto Biden. “Ma sembra un po’ esagerato. Non siamo sicuri di dove sia. C’è una trattativa in corso in questo momento.”
Della necessità di negoziare ancora ha subito accennato il segretario di stato Blinken arrivando in Israele dopo aver fatto l’ennesimo giro del Medio Oriente e dopo aver sentito dal reggente al trono saudita che di relazioni diplomatiche tra il suo paese e Israele restano legate all’eventuale creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele. Su questo punto Netanyahu risponde con un netto rifiuto. E come abbiamo visto dal sondaggio israeliano, la maggioranza degli israeliani concorda con lui anche se, non necessariamente lo sostiene in materia di politica interna. Fin dall’altra sera, agenzie di stampa e televisioni avevano già registrato alcune voci che a nome del governo israeliano facevano fatto capire che ci voleva molto lavoro ancora per cercare di avvicinare le posizioni di Hamas e di Israele.
“Il fatto che Hamas chieda un cessate il fuoco affinché gli israeliani ritirino le proprie forze, è qualcosa che Israele non accetterà mai”, il commento netto di un parlamentare. Come Israele non intende mettere fine alla guerra proprio ora che sta preparando l’assalto alla parte meridionale di Gaza al confine con l’Egitto dove sono stati spinti centinaia di migliaia di profughi palestinesi fuggiti dai massicci bombardamenti israeliani nel nord della striscia. La Casa bianca continua a incassare critiche e proteste negli Usa e presso gli alleati americani, per la sua politica ambigua nei confronti del conflitto e di Israele ed è probabilmente per questo che Blinken ha voluto prendere le distanze da Israele. Si è detto preoccupato per i disastrosi effetti che avrà sulla popolazione civile palestinese la nuova operazione militare e di averne parlato con il premier israeliano e con il ministro della Difesa Yoav Gallant. Come era prevedibile, le richieste di Hamas, che includono un cessate il fuoco di quattro mesi e mezzo e la definitiva cessazione delle ostilità, sono state rapidamente e formalmente respinte da Netanyahu.

No, ha ribadito, al rilascio di centinaia di terroristi dalle carceri israeliane, no al ritiro completo delle forze israeliane da Gaza. Il piano presentato da Hamas e che si continuerà a discutere al Cairo ha tre fasi. La prima fase include il rilascio di ostaggi a Gaza – donne e bambini sotto i 19 anni non arruolati nell’esercito israeliano, anziani e malati, in cambio di tutti i prigionieri palestinesi palestinesi, giovani, malati e anziani, nonché di 500 prigionieri nominati da Hamas, compresi quelli condannati a vita e per reati gravi. La prima fase, includere l’intensificazione degli aiuti umanitari, lo spostamento delle forze israeliane “al di fuori delle aree popolate”, una “cessazione temporanea” delle operazioni militari e della ricognizione aerea, l’inizio dei lavori di ricostruzione consentendo alle Nazioni Unite e alle sue agenzie di fornire servizi umanitari e stabilire case provvisorie.
Previso anche il ritorno dei palestinesi sfollati nelle loro case in tutte le aree della Striscia e garantirebbe la libertà di movimento per tutti. Inoltre, durante questa prima fase comincerebbero colloqui indiretti sui “requisiti necessari per un cessate il fuoco completo” e negoziati sui dettagli per la seconda e la terza fase.
La seconda fase, ha proposto Hamas, vedrebbe la conclusione dei colloqui su una cessazione delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi maschi “in cambio di un numero specifico di prigionieri palestinesi”. In questa fase – ipotesi più volte respinta da Israele – le forze israeliane dovrebbero uscire completamente dall’enclave. E’ sufficiente leggere i dettagli di due fasi della proposta di Hamas che è chiaro, per ora, di ipotizzare un cessate il fuoco e un rilascio in tempo brevi degli ostaggi. Inutile anche parlare della terza fase che comprende anche una parte più politica che includerebbe l’approvazione di un progetto concreto e ben definito per la creazione di uno stato palestinese nei territori occupati da Israele, compreso la parte orientale di Gerusalemme. La risposta di Netanyahu alle proposte di Hamas è arrivata, come al solito la sera, prime time tv. Il governo ha ordinato alle forze armate di cominciare l’assalto a Rafah nel sud della striscia di Gaza. La pressione militare, ha detto per l’ennesima volta, è necessaria per garantire il rilascio degli ostaggi israeliani.
Ha ripetuto quello che poco prima il suo ministro della difesa aveva detto a Blinken, ossia la “risposta di Hamas è stata formulata per garantire il rifiuto di Israele”. E poi: “Arrendersi alle richieste deliranti di Hamas porterà a un altro massacro e a una grande tragedia su Israele che nessuno sarebbe disposto ad accettare”. Sono riprese, come ormai tutti i giorni, le proteste delle famiglie israeliani degli ostaggi che chiedono iniziative concrete per garantire il loro ritorno a casa. Della sorte dei quasi trentamila palestinesi uccisi a Gaza, delle centinaia di migliaia di feriti, della distruzione delle case, degli ospedali, di tutte le strutture pubbliche non si parla.