Non una parola. Non un commento. Nulla. Silenzio assoluto. Come se non fosse accaduto nulla. Come se quello che è accaduto non la riguardasse. Il presidente del consiglio Giorgia Meloni, l’underdog come lei si è autodefinita cresciuta alla politica prima nelle turbolente sezioni del Movimento sociale, poi nelle stanze di vertice di Alleanza Nazionale e infine diventata il numero uno del partito da lei fondato – Fratelli d’Italia – non ha ritenuto di spendere una sola parola per quello che è accaduto a Roma lunedì 8 gennaio.
Alcune centinaia di persone si sono radunate in via Acca Larentia, dove un tempo c’era una sede del Movimento sociale e dove il 7 gennaio 1978 due giovani militanti missini furono uccisi a colpi di pistola da avversari politici dell’estrema sinistra mai individuati e un terzo morì durante i tafferugli con la polizia per le proteste che seguirono all’omicidio.
Nel corso della commemorazione si è svolto un rito caro al regime di Mussolini, i nomi delle vittime chiamati con la risposta del grido presente e decine di braccia che si sono levate nel saluto fascista. Accade da anni, a ogni commemorazione. Solo che adesso coloro che sono cresciuti nel partito che si richiamava al Ventennio sono a Palazzo Chigi, sono ministri e sottosegretari. Dunque, sorge spontanea la domanda: sono d’accordo e hanno voglia di tollerare questo tipo di manifestazioni pur stando ai vertici dello stato?
E se i protagonisti del gesto non sono militanti del loro partito, ma provengono dalle fila di gruppi dichiaratamente neofascisti come Casa Pound intendono chinare il capo e accettare questo tipo di manifestazioni, al posto di un commosso e sentito ricordo di due ragazzi che hanno perso la vita in una stagione dove la violenza era un modo di fare politica? Ecco perché appare incredibile e suona come una moneta falsa il silenzio di Giorgia Meloni. Non sarà mica che lei ritiene che essendo al vertice dello stato una vicenda come questa non la sfiori neanche un po’?
Non penserà mica che quel che fanno un paio di centinaia di persone in una via della periferia romana non tocchi una donna che oggi deve occuparsi di guidare il governo di un paese del G7, che non tocca a lei esprimere il suo giudizio perché impegnata a parlare con il presidente Usa John Biden o con la numero uno della Commissione Europea Ursula Von der Leyen? È probabile che l’ex militante del Movimento sociale che ha scalato la montagna della politica italiana sa che di fronte a un avvenimento come quello della commemorazione non ci possono essere parole ambigue: o si sta da una parte, quella delle braccia tese nel saluto romano, o si sta dalle parte della Costituzione che è nata dalle ceneri del regime fascista e dalla sconfitta in due guerre, quella contro gli angloamericani e quella contro gli italiani antifascisti.
E lo si dice a voce alta, non ci si nasconde. Il silenzio ha contraddistinto uomini e donne che sono ai vertici dello stato e che fanno parte. Chi ha provato a parlare si è esibito in banalità: Giovanni Donzelli, deputato di Fdi e responsabile dell’organizzazione del partito se ne è uscito con si tratta “di 100- 200 imbecilli molto più utili alla sinistra che a noi”, mentre il presidente del Senato Ignazio La Russa, missino di lungo corso e fondatore di Fratelli d’Italia, dopo aver detto che il suo partito non c’entra con l’accaduto, ha provato a navigare nelle perigliose acque delle spiegazioni: «Ci sono state sentenze contrastanti sul fatto che il saluto romano sia reato oppure no».
Chissà perché ci vuole tanto a dire che manifestazioni, gesti, parole, atteggiamenti che riportano al ventennio fascista sono sbagliate, fuori tempo massimo e un tantino ridicole. Ecco perché il silenzio assordante di Giorgia Meloni è davvero un brutto segno oltre che una manifestazione di debolezza politica.