Dopo una settimana di relativo silenzio, stamattina le sirene anti-missile sono tornate a risuonare nel sud di Israele. A Gaza, invece, si è ripiombati nell’incubo quotidiano dei bombardamenti a tappeto: almeno 109 persone sarebbero state uccise e decine ferite dai raid aerei e terrestri, che secondo lo Stato ebraico hanno colpito “più di 200 obiettivi terroristici”. È tornata insomma la guerra – anche se in realtà non se n’era mai completamente andata.
I negoziati sono proseguiti per tutta la notte, senza che però Hamas e Israele riuscissero a siglare l’ennesima estensione. Termina così un accordo che nei suoi sette giorni di validità complessiva ha consentito la liberazione di 83 ostaggi israeliani (oltre a 25 stranieri) detenuti dai gruppi islamisti e 240 prigionieri palestinesi incarcerati nello Stato ebraico – oltre a far cessare parzialmente le ostilità nella Striscia. Prima del cessate il fuoco, Hamas aveva rilasciato quattro ostaggi e l’esercito israeliano ne aveva salvato uno. Altri due erano stati invece trovati morti a Gaza.
L’ultimo round, quello di giovedì, ha consentito in extremis ad otto cittadini israeliani di riabbracciare i propri cari. Le prime ad essere rilasciate sono state due donne di doppia cittadinanza israeliana e francese – la 21enne Mia Schem e la 40enne Amit Soussana. Il gruppo islamista ha più tardi liberato un altro gruppo di altri sei ostaggi, composto da quattro adulti e due adolescenti, entrambi beduini di cittadinanza israeliana. Tenendo fede agli accordi, lo Stato ebraico ha contestualmente provveduto a rimettere in libertà 30 palestinesi.
Gli esperti l’avevano messo in conto: improbabile che la breve tregua potesse ancora andare avanti per molto. Hamas ha già rilasciato la maggior parte delle donne e dei bambini rapiti durante i raid del 7 ottobre, e anche lo Stato ebraico finora ha liberato esclusivamente adolescenti e donne – incriminati per lo più per reati minori.
A rimanere al “fresco” – sia che si tratti degli impenetrabili tunnel di Gaza o delle carceri israeliane – sono ora invece prevalentemente uomini e soldati. Le trattative da ora in poi saranno decisamente più complesse, con richieste più ambiziose da ambo le parti.
La diplomazia del Qatar – principale Paese-mediatore assieme all’Egitto – ha dichiarato che sono ancora in corso negoziati per ripristinare il cessate il fuoco. La ripresa delle ostilità, tuttavia, “complica gli sforzi di mediazione e aggrava la catastrofe umanitaria”, ha dichiarato il ministero degli Esteri di Doha.
Israele e Hamas non si sono però scambiati solo colpi di artiglieria, ma anche la responsabilità di chi abbia violato per primo l’accordo. Secondo il premier Benjamin Netanyahu, la milizia islamista avrebbe lanciato una serie di razzi verso il territorio israeliano e non avrebbe tenuto fede all’impegno di liberare tutte le donne-ostaggio. Sulla stessa linea la Casa Bianca, secondo cui Hamas non avrebbe consegnato la lista di ostaggi da rilasciare per tenere in vita l’intesa.
Dalle 7:30 di venerdì, le truppe dello Stato ebraico hanno perciò annunciato di aver “ripreso le operazioni di combattimento”. I caccia di Tel Aviv hanno preso a bombardare soprattutto nel sud della Striscia, a Rafah e Khan Younis – là dove si sono rifugiate centinaia di migliaia di civili fuggiti dal nord -, prendendo di mira anche alcune abitazioni nelle aree centrali e settentrionali dell’enclave.
L’obiettivo dichiarato di Tel Aviv rimane quello di smantellare Hamas e i suoi alleati ed estirpare il loro dominio sulla Striscia di Gaza. Nonostante più di 15.000 morti palestinesi (dati del ministero della Sanità di Ramallah) e la distruzione campale di ampie porzioni del nord della Striscia, la milizia sembra tuttavia avere ancora saldamente il controllo sull’enclave conquistata manu militari 16 anni fa.
A Tel Aviv è arrivato ieri il Segretario di Stato USA Antony Blinken, alla sua terza visita in Israele dallo scoppio della guerra. Incontrando il premier Netanyahu e altri alti funzionari del gabinetto militare, il capo-diplomatico dell’amministrazione Biden ha auspicato un’estensione del cessate il fuoco e chiesto a Tel Aviv di operare nel “rispetto del diritto umanitario internazionale”, con “un piano chiaro” per proteggere i civili palestinesi. “I livelli massicci di vittime civili e di sfollamento che abbiamo visto nel nord non devono essere ripetuti nel sud”, le parole monitorie di Blinken.
Secondo le Nazioni Unite, l’80% dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza sono stati costretti a lasciare le proprie case e a dormire all’addiaccio in rifugi di fortuna. “L’inferno sulla terra è tornato a Gaza”, il commento lapidario di Jens Laerke, portavoce dell’ufficio umanitario delle Nazioni Unite a Ginevra.
Mentre a Gaza riprendono i bombardamenti, c’è chi cerca al contempo di fare chiarezza sul casus belli – ovverosia i raid mortali compiuti da Hamas in territorio israeliano lo scorso 7 ottobre, costati la vita a circa 1.200 persone.
Secondo uno scoop del New York Times, gli 007 israeliani sarebbero stati infatti messo al corrente del piano di battaglia dei terroristi più di un anno prima che venisse attuato. A dimostrarlo sarebbero una serie di documenti top secret, e-mail e interviste che dettagliavano in misura drammaticamente realistica quello che sarebbe avvenuto il 7 ottobre – senza tuttavia fornire alcuna data per l’attuazione.
Il documento di circa 40 pagine, soprannominato “Muro di Gerico”, venne tuttavia tenuto in poca considerazione da parte dei dirigenti dell’esercito e dell’intelligence, che liquidarono il tutto come un piano tanto ambizioso quanto irrealizzabile in concreto.
Nello specifico, il file descriveva un attacco sofisticatissimo che prevedeva la distruzione delle fortificazioni attorno alla Striscia di Gaza, la presa di controllo delle città israeliane e l’assalto delle principali basi militari, incluso il quartier generale di una divisione. Il documento spiegava come sarebbe stato necessario sparare una raffica di razzi all’inizio del raid, affiancati da droni che sarebbero serviti a mettere fuori uso le telecamere di sicurezza. Al contempo, uomini armati avrebbero dovuto compiere incursioni armate in Israele in massa con parapendii, motociclette e a piedi. Quello che, per filo e per segno, è accaduto a inizio ottobre.
Oltre a ciò, il piano includeva anche dettagli sorprendentemente affidabili sulla posizione e le dimensioni delle forze militari israeliane, sui centri di comunicazione e altre informazioni sensibili – sollevando interrogativi su presunte fughe di notizie all’interno dell’intelligence israeliana.
“Non è ancora possibile determinare se il piano è stato pienamente accettato e come si concretizzerà”, si legge in una valutazione militare riportata dal quotidiano newyorkese. Solo lo scorso luglio, un analista veterano dell’Unità 8200 – la sezione del Mossad specializzata in prevenzione e analisi dei segnali – avvertì che Hamas stava conducendo addestramenti intensi, potenzialmente per mettere in atto il piano. Anche in questo caso, però, un colonnello della divisione di Gaza diede poco adito ai timori.
“Nego assolutamente che lo scenario sia immaginario”, la replica dell’analista-Laocoonte. “È un piano progettato per iniziare una guerra, non è solo un’incursione in un villaggio”. Appena qualche settimana dopo, il tempo gli avrebbe dato fatalmente ragione.