Iperattività, ansia, depressione, mancanza di sonno, disturbi da dismorfismo corporeo. Non sono che una parte della ricaduta negativa che piattaforme social come Instagram hanno sui più giovani. Ricadute che secondo gli psicologi stanno oggi contribuendo al dilagare dell’instabilità mentale nelle persone di età sempre più bassa. E nel dire “più bassa” ci riferiamo letteralmente anche ai bambini, considerato che Instagram avrebbe permesso che bambini di età inferiore ai 13 anni mantenessero un account, considerandoli un’importante generazione demografica da catturare.
Indignati per la piega che i social hanno preso, 41 degli Stati dell’Unione hanno, tutti d’accordo, repubblicani e democratici, fatto causa a Meta, la società madre sia di Instagram che di Facebook.
Il procuratore generale del Tennessee, un repubblicano che ha lavorato insieme al collega democratico del Colorado Phil Weiser, ha scritto nella denuncia: «Invece di prendere provvedimenti per mitigare questi danni, Meta ha ingannato i suoi utenti, nascondendo l’entità dei danni subiti dai giovani che diventano dipendenti dalla sua piattaforma».
Aperta lo scorso ottobre al livello federale da 33 procuratori generali e da altri 8 al livello statale, la causa è scattata dopo che anni di negoziato non hanno portato a una soluzione soddisfacente.
La causa presenta una vasta documentazione, parte della quale è stata rivelata in questi giorni dal New York Times, che ha avuto accesso ai documenti della stessa società a cui i procuratori fanno riferimento.
Le nuove informazioni rivelano che per anni Instagram avrebbe «bramato e perseguito» gli utenti minorenni e che Meta avrebbe «continuamente fallito» nel suo dovere di rendere prioritaria l’adozione di efficaci sistemi di controllo dell’età.
La documentazione proverebbe inoltre che il gigante tecnologico ha ignorato «sistematicamente» segnalazioni sui minori di 13 anni e permesso loro di continuare a utilizzare la piattaforma, pur avendo ricevuto informazioni su questi casi attraverso gli stessi canali interni all’azienda.
Non solo, avrebbe anche fatto di tutto per trattenere i bambini sulla piattaforma, ipnotizzandoli con funzionalità come lo scroll e i flussi costanti di alert: «I bambini sono particolarmente sensibili alle tecnologie che creano dipendenza, e Meta ha sfruttato questa vulnerabilità, anteponendo la ricerca di introiti pubblicitari al benessere psicologico ed emotivo dei giovani» protesta Brian Schwalb, procuratore generale di Washington.
Nel lasciare gli under-13 liberi di navigare sulla piattaforma, inoltre, Instagram li avrebbe anche sfruttati raccogliendo le loro informazioni personali. E non stiamo parlando di poche centinaia o poche migliaia di bambini, ma di vari milioni. E il numero di segnalazioni ricevute sugli under-13 supera il milione: Meta «ha disabilitato solo una parte di quegli account e ha continuato a raccogliere abitualmente i dati dei bambini senza il consenso dei genitori» protestano i procuratori nella denuncia.
La legge vorrebbe che nessun bambino sotto i dieci anni possa avere un account, mentre fra i 10 e i 13 lo possano avere ma solo sotto la guida dei genitori.
La risposta di Meta sembra voler scaricare la responsabilità sulle famiglie. L’azienda sostiene di aver cercato numerose soluzioni per evitare il problema dei navigatori under-13, ma protesta che controllare l’età degli utenti è «una sfida difficile». Per questo suggerisce che siano gli app store a chiedere ai genitori di convalidare l’età dei figli. Magari, propone, la verifica dell’età per chiunque sotto i 16 anni andrebbe fatta al momento della configurazione del cellulare.
Sono anni che governi e famiglie discutono dei possibili danni di piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok, ma la vera esplosione di indignazione risale al 2021, quando Frances Haugen, ex dipendente di Facebook, testimoniò davanti al Senato, accusando Facebook di aver messo «i profitti prima delle persone» danneggiando i bambini, fomentando le divisioni nel Paese e indebolendo la democrazia.
Anna Guaita