I telefoni non funzionano, l’internet ‘is down’ grazie alle note capacità israeliane in materia di gestione del web. Ai giornalisti stranieri è stato ‘suggerito’ di lasciare la striscia di Gaza perché Israele, ha comunicato il portavoce militare di Tel Aviv, non può garantire la loro sicurezza in mezzo ai bombardamenti massicci dell’enclave palestinese. Tradotto in termini pratici, la realtà di questa guerra, più forse di altre, è tutta da inventare. Per mesi abbiamo letto e ascoltato i racconti spesso a distanza della guerra in Ucraina. La distruzione era evidente. Il numero di morti e feriti, un’opzione quasi da decidere a tavolino. Faceva impressione che tra una bomba e l’altra, tra un missile e l’altro, arrivavano notizie quasi mai di prima mano. E nei comunicati di Kiev quasi sempre si rilevava la tragica morte di uno o due bambini. Di adulti spesso nemmeno una traccia.
Israele è un’altra storia, ma oggi in qualche modo la stessa anche se i giornalisti accreditati, anche arabi, diversamente dai loro colleghi in Ucraina hanno accesso alle fonti, possono girare liberamente salvo nelle zone militari chiuse. In tempi di guerra, come oggi, a tutti viene impedito, comprensibilmente, di fornire dati riguardo alla posizione esatta colpita da un lancio di razzi o assistere da ’embedded’ alle operazioni dal vivo. Le bombe si vedono quando colpiscono, i razzi lasciano la loro traccia in alto ma è impossibile verificare i quotidiani racconti dei portavoce militari. Reparti israeliani sono avanzati; tunnel di Hamas sono stati colpiti; sono stati uccisi elementi di spicco dell’organizzazione militare integralista.
Hamas, ovviamente, racconta di morti, di feriti. Quotidianamente fornisce le cifre. Oggi sono 7,300 civili morti e 19,000 feriti. Altri ancora sotto le macerie. Le cifre delle donne, degli anziani, dei bambini sembrano rispecchiare le percentuali dei dati ufficiali della popolazione di Gaza. Come smentirle o metterle in dubbio di fronte alle immagini di interi quartieri delle città e dei campi profughi densamente abitati appiattiti dal massiccio bombardamento israeliano che, negli ultimi giorni, è stata accelerato come se Netanyahu e il suo ministro della difesa Galant temessero di dover smettere le operazioni militari per consentire una tregua umanitaria che stenta ad arrivare?
‘Hasbara’ è una parola in ebraico che indica le pubbliche relazioni per diffondere all’estero informazioni positive su Israele. Un eufemismo per propaganda. Anshel Pfiffer, uno dei più noti giornalisti israeliani, scrive per il quotidiano Haaretz. È sua una biografia di Netanyahu. Il premier, scrive, ‘ha trascorso gli ultimi 50 anni – fin dai tempi in cui era un principiante hasbarista, lavorando part-time per il consolato israeliano a Boston – convincendo il resto di noi che tutto ciò di cui Israele aveva bisogno era spiegare il suo caso meglio, con più forza e con un arsenale di idee, fatti e frasi ad effetto, e poi il mondo sarebbe stato conquistato. Di certo ha conquistato gli israeliani che, basandosi esclusivamente sulla sua abilità retorica dal podio delle Nazioni Unite e negli studi della CNN, lo hanno eletto il primo ministro israeliano più giovane e meno esperto, a 46 anni.’
Oggi gli israeliani non gli credono più e vorrebbero sapere quali sono le sue vere intenzioni. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha detto sabato che l’operazione militare nella Striscia di Gaza ‘continuerà fino a quando non verrà emesso un nuovo ordine’. E ha spiegato: ‘Siamo passati a una nuova fase della guerra. Stasera, il terreno a Gaza ha tremato. Abbiamo attaccato sopra e sotto terra, abbiamo attaccato terroristi a tutti i livelli, in tutti i luoghi’. Gallant si potrebbe definire un falco. O forse solo un militare arrabbiato che ha dovuto riconoscere l’incapacità sua e dei suoi colleghi di prevedere il massiccio assalto a Israele. Una azione terroristica, l’azione di odiosi criminali di guerra paragonati ai nazisti ma anche un’azione militare preparata e realizzata con una capacità che spaventa non solo la popolazione israeliana ma anche e soprattutto tutto il suo apparato di difesa. Forse anche per questo, l’altro giorno Gallant aveva esortato Netanyahu ad autorizzare un’azione preventiva per distruggere Hezbollah in Libano e colpire anche l’Iran per mettere fine ai suoi progetti nucleari.
E ora? È l’interrogativo quotidiano che si alterna ai comunicati di governi e militari di mezzo mondo. Tregua umanitaria? Nuovi bombardamenti? Invasione di Gaza? C’è anche chi guarda a quello che sta accadendo nella Cisgiordania occupata dove oltre cento palestinesi sono stati uccisi negli ultimi giorni. Alcuni erano armati. Altri protestavano a sostegno della popolazione civile di Gaza. Altri ancora sono stati assassinati da bande di coloni ebrei convinti che un giorno la West Bank sarà loro e la Grande Israele – dal Mediterraneo al Giordano – sarà finalmente una realtà.