“Gli ucraini non sono riusciti a superarci frontalmente, (ma) ci ha pensato il nostro comandante ad assalirci dalle retrovie, decapitando perfidamente e ignobilmente l’esercito nel suo momento più difficile e teso.”
Sono critiche pesantissime quelle che il generale russo Ivan Popov ha rivolto al capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, e al ministro della Difesa, Sergej Shoigu. Parole al vetriolo pronunciate privatamente mercoledì sera, ma rese di pubblico dominio nelle scorse ore da Andrej Gurulyov, deputato del partito filo-governativo “Russia Unita”, sul proprio canale Telegram.
Fino a pochi giorni fa, Popov comandava la 58ª Armata d’Armi Combinate russa a Zaporizhzhia, una delle quattro regioni ucraine unilateralmente annesse da Vladimir Putin lo scorso settembre – e perciò finita nel mirino della recente controffensiva delle truppe di Kyiv. Il militare sostiene di essere stato bruscamente silurato perché al ministero della Difesa non avrebbero gradito le sue critiche sul poco supporto fornito da Mosca ai soldati impiegati al fronte.
Rebellions of generals and "combat" within the Russian defense ministry continue.
Commander of the 58th Russian army major general Ivan Popov was resigned from his position as a result of his report to Gerasimov. In the report, Popov raised the issue of needing to rotate units… pic.twitter.com/CSLtVtrggG
— Anton Gerashchenko (@Gerashchenko_en) July 13, 2023
A chiarire i contorni della vicenda è lo stesso Popov, che nell’audio racconta di aver fatto notare ai superiori “la mancanza di combattimenti di controbatteria, l’assenza di stazioni di ricognizione dell’artiglieria, e la mole di morti e feriti tra i nostri fratelli a causa dell’artiglieria nemica” – oltre alla necessità di una rotazione organica delle truppe dovuta all’ingente numero di perdite.
“Ho espresso le mie preoccupazioni ai più alti ranghi con franchezza ed estrema durezza”, continua Popov – il quale tuttavia avrebbe ricevuto come risposta un sonoro benservito da parte di Shoigu, che al posto di Popov ha incaricato Denis Lyamin. Una defenestrazione che il generale non ha esitato a definire un vero e proprio tradimento da parte dei suoi capi.
Finora né il ministero della Difesa né il Cremlino hanno pubblicamente commentato le dichiarazioni di Popov, eppure sembra trasparire un certo imbarazzo per la fuga di notizie, fomentando giocoforza i dubbi sull’effettiva sinergia tra i vertici militari russi e le truppe impegnate nella “operazione speciale” in Ucraina.
L’unico commento ufficiale è arrivato invece dal deputato Andrej Turchak, presidente del gruppo di lavoro della Duma sulla guerra, che si è limitato a criticare pubblicamente il collega Gurulev per aver divulgato l’audio di Popov (inviato su una chat privata tra il generale e i suoi soldati) e “averne fatto uno spettacolo politico”.

Le bordate polemiche di Popov riecheggiano le analoghe catilinarie di Evgenij Prigozhin, che a lungo aveva bersagliato Shoigu e Gerasimov per la gestione fallimentare della situazione al fronte, prima di tentare il tutto per tutto con un clamoroso ammutinamento abortito in extremis.
Sulla sorte del leader della Wagner aleggia peraltro da giorni una fitta coltre di mistero. L’accordo mediato da Lukashenko ne prevedeva il confino in Bielorussia. Eppure, lo scorso 29 giugno il capo dei mercenari ha ufficialmente incontrato Putin (che lo aveva bollato come un “traditore che pugnala alle spalle”) e poi ha fatto presumibilmente ritorno nella “sua” San Pietroburgo per sistemare alcuni affari.
Per inciso, sembra che nemmeno i suddetti affari abbiano subito contraccolpi degni di nota. Dopo il tentato golpe, alcune società di catering legate al “cuoco di Putin” si sarebbero infatti aggiudicate appalti pubblici per oltre 1 miliardo di rubli (11,7 milioni di dollari), secondo quanto riportato dalla rete televisiva RTVI.
Nel (folto) fronte di opposizione a Shoigu e Gerasimov c’è poi il generale Sergej Surovikin, ex comandante delle truppe russe in Ucraina accusato di essere uno dei principali fiancheggiatori della Wagner. Di lui si è persa ogni traccia proprio a partire dal 24 giugno: alcune indiscrezioni lo vedono attualmente in carcere a Lefertovo per la tentata sedizione. Al contrario, secondo quanto riferito mercoledì da Andrej Kartapolov, capo della Commissione difesa della Duma, il generale starebbe genericamente “riposando“.

La fronda di generali in aperta opposizione ai vertici militari russi si allarga insomma a macchia d’olio. Ma non è solo dagli attacchi figurati di Shoigu e Gerasimov che deve difendersi la 58ª Armata di Popov. Ci sono infatti anche i missili ucraini – uno dei quali, martedì, ha colpito un quartier generale militare nella città di Berdyansk, uccidendo il tenente generale Oleg Tsokov.
Secondo i comandanti ucraini, le perdite russe sul fronte meridionale ammonterebbero ormai a circa 400 soldati al giorno, equivalenti grossomodo a due compagnie. Il numero potrebbe però aumentare drasticamente già dalle prossime settimane, dal momento che nell’arsenale di Kyiv si sono aggiunte anche le famigerate bombe a grappolo – fornite dagli Stati Uniti dopo mesi di tentennamenti dovuti alla loro pericolosità (non a caso più di 100 Paesi le hanno messe al bando aderendo alla convenzione di Dublino del 2008).
Dopo aver ottenuto le DPICM, rimane ora una sola la richiesta militare di Zelensky ancora inevasa – quella di ricevere moderni caccia F-16 dagli alleati occidentali. Qualcosa invero sembra essersi già mosso, dato che la Casa Bianca ha dato via libera all’addestramento dei piloti ucraini in Paesi Bassi e Danimarca a partire da agosto.
La definitiva luce verde alla fornitura non è però ancora arrivata – e da Mosca l’auspicio è che non avverrà mai mai. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha avvertito infatti che Mosca considererà l’invio di F-16 occidentali in Ucraina come una linea rossa “nucleare” a causa della loro capacità di trasportare armi atomiche. “Considereremo il fatto stesso che le forze armate ucraine dispongano di tali sistemi come una minaccia di tipo nucleare da parte dell’Occidente“.
Raramente, prima d’ora, il tradizionalmente pacato capo-diplomatico russo aveva usato moniti così catastrofici. Segnale che l’aria al Cremlino è tutt’altro che serena.