La diplomazia, negli stati di diritto, è attribuzione dei capi di governo attraverso il ministro degli Esteri, fatti salvi i casi di regimi presidenziali come in Francia e Stati Uniti. Tuttavia, nei sistemi parlamentari capita che i capi di stato conducano negli affari internazionali proprie azioni. In Italia – come rilevavo in un libro uscito a Stony Brook, Forum Italicum, nel 2012, Fratelli d’Italia, 150 anni di cultura, lavoro, emigrazione – il dualismo ha caratterizzato la politica estera sin dalle origini. Cavour e Vittorio Emanuele si diversificarono sulle alleanze utili alla costruzione dello stato unitario. Nella Repubblica il Quirinale ha espresso non di rado posizioni diverse da palazzo Chigi. Si pensi, di recente, ai casi della Libia di Mu’ammar al-Qadhdhafi (Berlusconi) e all’Ue (Conte).
Mattarella, con lo stile che taluni definiscono grigio e che è certamente discreto, in particolare su atlantismo ed europeismo ha tirato dritto per la sua strada, tessendo una tela di rapporti utilissimi a far percepire la tenuta della tradizione politica ed economico-sociale dell’Italia, safety-net o se si preferisce polizza assicurativa contro certe alzate di genio del governante di turno. Di recente è risultato evidente lo sforzo (riuscito) di risanare il rapporto con la Francia, incrinatosi per qualche chicchirichì di troppo del gallo d’oltralpe cui avevano fatto seguito piccate reazioni romane.

Esempio di rilievo dell’attivismo del presidente è stato, in questi giorni, il trilaterale che ha riunito a Palermo il 26 e 27 giugno Mattarella, il re spagnolo Felipe VI e il presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa, presente il il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni. Occasione, il XVI Simposio Cotec Europa dedicato alla “Innovazione nella finanza sostenibile”. Cotec raggruppa le “Fondazioni per l’innovazione tecnologica” in Italia, Portogallo e Spagna, che fanno riferimento ai rispettivi capi di stato. Si noti che il tema è prerogativa dei governi, appartenendo alle politiche economiche, sociali e della ricerca scientifica. I tre capi di stato hanno condiviso la necessità di fornirvi un apporto autonomo.
Nel documento preparatorio le tre delegazioni di esperti che hanno animato il simposio, hanno rilevato come, rispetto a un’innovazione ICT mai come ora pervasiva (l’intelligenza artificiale e i modelli fondati sugli algoritmi investono ogni decisione pubblica e privata di rilievo interpellando i meccanismi delle libertà umane), il sistema finanziario privato sia chiamato ad operare in sinergia con le istituzioni pubbliche e private, le imprese e i consumatori. Guardando alla sostenibilità delle strategie economiche del nostro tempo (ovvero a come esse non debbano privare le future generazioni delle risorse e delle opportunità delle quali necessiteranno), la finanza viene chiamata sia ad indirizzare i flussi finanziari e creditizi verso progetti o imprese sostenibili, sia a incoraggiare gli investimenti su progetti sostenibili.
Messa così, la sostenibilità assume la caratteristica di un campo di innovazione competitiva, con le istituzioni finanziarie a giocare un ruolo di primo piano, visto che agiranno come agente di cambiamento, pungolo e condizionatore della tipologia di investimenti. Premieranno innovazione e scelte fondate sulla tassonomia Ue che discrimina l’attore di mercato insensibile ai bisogni di un pianeta bisognoso di decarbonizzarsi e di sottrarsi al micidiale contributo umano al cambiamento climatico.
Si comprende meglio cosa vi sia in gioco, se si tengono a mente alcuni numeri che sintetizzano i termini quantitativi di ciò che si sta muovendo. Ocse ha calcolato che per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, servono sino alla fine del decennio quasi 7 trilioni di dollari annui d’investimento. Nell’Ue 500 miliardi di euro l’anno sono spesi sugli obiettivi fissati per il patto verde. Già ora la cosiddetta finanza sostenibile – quella, per capirci, che tra le altre sue caratteristiche, ha di guardare all’impatto di neutralità carbonica e biodiversità nel periodo medio-lungo – esprime 6 miliardi di dollari l’anno. Su tanto denaro, le banche attuano, nelle fasi di valutazione dell’investimento, un controllo di sostenibilità e di valutazione del collegato rischio ambientale e di neutralità climatica. Le agenzie di rating, da parte loro, allargano il campo temporale sul quale basano il giudizio di rischio spostandolo sul medio-lungo e collegandolo all’impatto di neutralità climatica. È un processo che, in prospettiva, porterà alla scomparsa dei controlli di “sostenibilità”, nel senso che l’intera finanza dovrebbe essersi nel frattempo convertita ai dettami della neutralità climatica.
Evidente che risorse private e risorse pubbliche devono incontrarsi in un punto che premi sia l’interesse collettivo che quello di chi rischia denaro e si attende il ritorno. I settori più coinvolti dalla prevista opera di ristrutturazione globale sono edilizia e mobilità: reti materiali e immateriali per mobilità e trasporti, sanità e istruzione, energia e risorse idriche, tra gli indiziati.
Nella transizione, i costi non possono essere scaricati sugli anelli deboli della catena sociale, né può immaginarsi che le fasce sfavorite e incapacitate ad impadronirsi delle innovazioni tecnologiche, restino indietro. Occorre equità, e a questa è chiamata a provvedere soprattutto la fiscalità pubblica. Lo scombussolamento complessivo dei sistemi produttivi, l’impatto e la pervasività che assumeranno Ict e Ia, vanno previsti e tamponati in tempo. Ed è qui che il ruolo dei governanti riveste rilevanza strategica.
Negli stati Ue, da questo punto di vista, è stata compiuta parecchia strada, visto che il 55% delle attività economiche sono considerate già ora sostenibili. Non così in altre parti del mondo. Il che fa capire le parole del presidente Mattarella a Palermo: “La pressante esigenza di fornire risposte attendibili e durature, si aggiunge alla necessità di porre riparo a disuguaglianze che accrescono, in molteplici aree del globo, le situazioni di disperazione e di abbandono. […] pandemia e rinnovate tensioni internazionali, a partire dalla guerra scatenata dalla Federazione Russa contro l’indipendenza dell’Ucraina, hanno provocato un rallentamento delle economie, con una contrazione delle capacità di spesa in tutti i paesi e soprattutto in quelli a più basso reddito. […] Sicurezza alimentare, clima, energia e investimenti in infrastrutture sostenibili saranno aree di interesse, con particolare riferimento al continente africano. È in gioco la prosperità dell’intero pianeta.”