Le indagini penali contro Hunter Biden, figlio del presidente Joe, sarebbero stata ostacolata da “considerazioni politiche”. A sostenerlo è un agente speciale del fisco statunitense, che secondo il suo legale è in possesso delle prove per dimostrarlo.
L’uomo – rimasto anonimo – ha affermato che “trattamenti preferenziali e politica hanno contaminato impropriamente le decisioni” relative all’indagine, e sostiene di aver contestualmente chiesto al Congresso la protezione riservata agli informatori per poter svelare tutto.
Mark Lytle, avvocato che rappresenta il dipendente dell’Internal Revenue Service (IRS), ha scritto mercoledì a un gruppo bipartisan di legislatori, dichiarando di rappresentare un “agente speciale di supervisione penale dell’IRS in carriera che ha supervisionato l’indagine in corso e delicata su un argomento controverso e di alto profilo dall’inizio del 2020”.
Il suo assistito si dice pronto a “contraddire la testimonianza giurata al Congresso di un alto funzionario politico” e a rivelare “chiari conflitti di interesse”, si legge nella lettera.
Dalla Casa Bianca è arrivata una secca smentita sulla possibilità che un funzionario dell’amministrazione di Joe Biden abbia interferito nelle indagini sul figlio del presidente. A NBC News, l’avvocato di Biden (padre), Chris Clark, ha aggiunto che “è un reato divulgare impropriamente informazioni su un’indagine fiscale in corso”.
Le indagini su Hunter Biden si riferiscono al materiale che sarebbe stato raccolto dall’FBI per accusare il figlio del commander-in-chief per reati fiscali che risalgono almeno al 2019. Le tasse e le controversie internazionali (legate soprattutto all’Ucraina) del giovane Biden sono inoltre oggetto di un’indagine da parte di un gran giurì federale del Delaware dal 2018.
Il presidente Biden sostiene di non aver mai discusso con il figlio delle sue attività commerciali, e ha promesso che l’indagine su Hunter continuerà senza alcuna pressione politica.