Mentre si fa più tempestoso il vento della trattativa a Bruxelles, per trovare una via di uscita dignitosa all’impasse italiana sul Pnrr, l’unica consapevolezza da portarci dietro è questa: tutto possiamo permetterci fuorché arrivare troppo tardi, rinunciare, dire all’Europa: «Scusate, abbiamo sbagliato, i vostri soldi non li riusciamo a spendere».
Non può permetterselo il governo Meloni, che passerebbe alla storia come l’esecutivo che ha mandato in fumo oltre 200 miliardi di euro. Un’eventualità che metterebbe a rischio la tenuta stessa della maggioranza, come è ovvio immaginare.
Non possono permetterselo regioni, comuni, enti locali di ogni ordine, latitudine e stampo politico, perché la logica degli appalti diffusi ha fatto sì che tutti fossero in diversa misura investiti dagli obblighi, dai progetti e dai vantaggi del Piano di ripresa e resilienza.
Non può permetterselo il sistema-Italia, per la figuraccia internazionale che la esporrebbe all’attacco di coloro che da sempre sono detrattori della serietà e delle capacità del nostro Paese di tenere fede agli obblighi e agli impegni finanziari con rigore e rispetto dei tempi e delle regole. Non può permetterselo, infine, neppure l’Europa che, dopo il disastro del Covid e una lunga stagione di disaffezione popolare al progetto dell’Unione, attraverso il piano Next Generation Eu inaugurò un nuovo corso di collaborazione, condivisione e mutuo soccorso destinato – negli auspici – a stringere il difficile sodalizio tra gli Stati membri.
La posta in gioco è altissima, e a momenti eccezionali devono corrispondere misure eccezionali. Tanto sul piano politico e diplomatico – nella speranza che Bruxelles sia disposta ad aprire con l’Italia una nuova trattativa – sia sul piano tecnico e procedurale.
Si è evocato in questi giorni il metodo Ponte Morandi, usato ormai come paradigma di tutto il bello e il buono che il Paese sa e può fare. Ma il paragone, stante la mole di opere a cantiere con il Pnrr, decisamente non sta in piedi. Bisogna però conservarne almeno lo spirito.