“La primula rossa” di Cosa Nostra che ha sciolto il bambino nell’acido perché “così doveva morire il figlio di un pentito”, stragista e latitante da 30 anni, è stato catturato questa mattina a Palermo.
Matteo Messina Denaro, sotto il nome di Andrea Bonafede, si curava alla clinica Maddalena di Palermo. Questa mattina alle 9:00 al bar della clinica Maddalena un carabiniere dei ROS si è avvicinato al padrino e gli ha chiesto come si chiamasse. “Sono Matteo Messina Denaro”.
Mi chiedo: il boss si è arreso, perché? Al Capo e a Ballarò hanno sparato i fuochi d’artificio. Chissà? Un Segnale di passaggio di consegne? Fuori dalla clinica, senza le manette, Matteo Messina Denaro è stato accompagnato verso la macchina tra gli applausi della gente alle Forze dell’ordine intervenute.
Un nutrito dispiegamento di forze per la cattura del capo dei capi. Protetto ai massimi livelli, stragista con più ergastoli sulla testa, il boss siciliano era diventato, dopo le stragi, il Re del Welfare della Mafia. Le stragi del ’92, poi quelle che dalla Sicilia si spostano nel continente, sono state il pane nero quotidiano di Messina Denaro e il suo ruolo che da boss latitante comandava e gestiva gli affari di Cosa Nostra.

Mi chiedo ancora: oggi nessuna resistenza all’arresto; era accompagnato da uno dei suoi fedelissimi, Giovanni Luppino di Campobello di Mazara. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano è coordinata dal Procuratore di Palermo Mauro de Lucia e dal Procuratore aggiunto Paolo Guido. De Lucia: “Parte della borghesia lo ha aiutato. sono state sequestrate le cartelle mediche. Il fiancheggiatore arrestato con lui è un commerciante di olive. Matteo Messina Denaro è stato trasferito in un carcere di massima sicurezza.”
Ma chi era Matteo Messina Denaro? Il pupillo di Totò Riina che inizia la sua vita da primula rossa nell’estate del 1993, dopo le stragi di Roma, Milano e Firenze. Un boss. Un boss moderno nella vita privata per la sua discontinuità con il sistema di valori familiari e sentimentali proprie rispetto alla mafia tradizionale.
“L’arresto di un boss mafioso rappresenta non solo una vittoria dello Stato, ma anche di tutti coloro che nelle forze dell’ordine, nella magistratura si sono spesi, rischiando anche la vita, per arrivare a questo risultato. L’arresto di un boss rappresenta una vittoria anche di tutti quei giornalisti che sfidando le organizzazioni mafiose hanno raccontato le vicende drammatiche, gli omicidi, le stragi, ma è rappresenta una vittoria anche per tutti quei cittadini onesti che ogni giorno con il loro lavoro mandano avanti il Paese. Adesso bisogna arrivare a tutta quella persone che pur non essendo mafiose vivono in una zona grigia che di fatto aiuta e fa prosperare la mafia. L’arresto di un boss anche se dopo 30 anni di latitanza deve servire a scoraggiare tutti quei ragazzi che pensando di arricchirsi facilmente scelgono la strada delle mafie. A loro oggi viene detto chiaramente che chi sceglie la mafia prima o poi va in galera e paga fino in fondo il suo conto con la giustizia.”, commenta Paolo Siani, medico, ex Deputato e fratello di Giancarlo Siani, giornalista assassinato dalla Camorra nel 1985.

Abbiamo raggiunto al telefono Paolo Itri, Pubblico Ministero della direzione distrettuale antimafia di Napoli: “L’arresto di Matteo Messina Denaro rappresenta certamente una grande vittoria dello Stato sulla organizzazione mafiosa, e questo sia per il suo elevato valore simbolico e sia in quanto costituisce un importantissimo segnale della forza degli apparati investigativi sulla rete di connivenze e di complicità di cui ha sicuramente goduto durante i suoi trent’anni di latitanza”.
Ma vi è di più.
Quale componente apicale della cupola di cosa nostra, Matteo Messina Denaro è stato uno dei maggiori protagonisti della stagione delle stragi, ed è depositario dei segreti più inconfessabili della strategia terroristica dell’organizzazione mafiosa siciliana, inaugurata nel 1984 con il micidiale attentato del rapido 904 e proseguita negli anni 1992 e 1993 con le stragi di Capaci, di via D’Amelio e gli altri attentati in continente.
Per come già più volte dichiarato da diversi collaboratori di giustizia, Messina Denaro avrebbe poi partecipato a quella “vicenda parallela” avvenuta subito dopo la strage di Capaci, allorquando Cosa Nostra avrebbe intavolato – secondo quanto affermato tra gli altri da Giovanni Brusca – una sorta di trattativa con alcuni non meglio precisati esponenti delle istituzioni, diretta in buona sostanza a ottenere benefici penitenziari per alcuni affiliati di spicco dell’organizzazione.
L’auspicio è che a prescindere dal valore simbolico dell’arresto, la cattura dell’ormai ex latitante possa in qualche modo servire a fare finalmente piena luce su alcune delle vicende più misteriose del secondo dopoguerra italiano.
Amaro il commento di Salvatore Borsellino: “A 30 anni di distanza non si sa nulla di chi ha veramente voluto la morte di Paolo. Il fatto che Messina Denaro sia il capo della mafia – e credo sia sicuramente così, ma è anche vero il fatto che sia stato preso quando è malato in qualche maniera sembra una resa. Una resa in cambio di qualcosa. Questo mi atterrisce: perchè coincide con l’abolizione dell’ergastolo ostativo. Era 30 anni fa la condizione principale posta da Riina nel papello come dictat per poter mettere fine alle stragi. e questa è una grande amarezza. Spero di non vedere personaggi come Graviano fuori dalla galera.
E penso anche a quando il covo di Riina non fu perquisito a dovere.”
“Io sono convinto che mio fratello Paolo sia morto per quella trattativa Stato-Mafia. L’Agenda Rossa sottratta dalla macchina di Paolo è la scatola nera della strage e lì si trovano i veri motivi di Via D’Amelio.”
Dalle parole di Paolo Borsellino: “Quando sarò ucciso verrà la Mafia ad uccidermi, ma saranno altri a volere la mia morte”.