Il cerchio attorno al “Chapo”, signore della droga che dal 2019 si trova dietro le sbarre all’ADX Florence in Colorado, continua a stringersi. Più passano gli anni, più la polizia intercetta e arresta i membri della famiglia un tempo ai vertici dell’immenso cartello di Sinaloa.
Due anni fa fu la volta della moglie Emma Coronel Aispuro, presa all’aeroporto internazionale di Dulles (Virginia) con l’accusa di avere aiutato il marito a gestire il suo impero multimiliardario e aver pianificato la sua fuga nel 2015 da Altiplano, un prigione di massima sicurezza in Messico.
L’ultimo in ordine di tempo è invece il figlio Ovidio Guzmán, fermato dalla polizia messicana in una maxi-operazione scattata all’alba che ha provocato violenti scontri nella città di Culiacán.
Toccare un Guzman, infatti, non è cosa da poco nei terrori controllati dalla criminalità organizzata. Molto sangue è staro versato nel blitz che ha messo le manette a 21 membri del cartello. Sono 29 i morti totali, a cui si aggiungono 35 soldati feriti.
Tutto avviene a pochi giorni dall’attesa visita del presidente Joe Biden e del premier canadese Justin Trudeau a Città del Messico per partecipare al Vertice dei leader nordamericani, in programma il 10 gennaio. Durante il viaggio, Biden andrà personalmente al confine tra Stati Uniti e Messico, anche se sono ancora in corsa di definizioni i dettagli del programma che arriva in un momento in cui, l’immigrazione, è un tema estremamente delicato.
Intanto, nella capitale messicana, il presidente Andrés Manuel López Obrador si è presentato alla conferenza stampa quotidiana assicurando che durante l’operazione tutte le forze di sicurezza abbiano agito in modo responsabile per prendersi cura della popolazione civile, in modo che non ci fossero vittime innocenti.
“Siamo molto dispiaciuti – ha detto – per la morte di persone in servizio e anche per tutte le perdite di vite umane di coloro che hanno partecipato agli scontri”.
La cattura di Ovidio è un traguardo importante per la giustizia americana. Il Dipartimento di Stato da tempo lo aveva catalogato sotto la didascalia “componente di alto livello del Cartello di Sinaloa” e quell’arresto finito nel nulla del 2019 non era mai andato giù agli agenti incaricati delle indagini.
Era ottobre quando finalmente la polizia riuscì a prenderlo, ma in quell’occasione il presidente Obrador ne ordinò il rilascio per calmare la guerriglia scoppiata nello Stato di Sinaloa in supporto alla famiglia criminale dei Guzmán.
Questa volta, invece, il caos scatenato dopo l’arresto non ha intimorito le autorità. Ai cittadini è stato ordinato di chiudersi in casa e nelle strade, in poche ore trasformato in terreno per una guerriglia civile, è sceso l’esercito.
Sono tanti i video pubblicati sui social media che mostrano veicoli in fiamme e fragorose sparatorie nei pressi dell’aeroporto di Culiacán, rimasto chiuso per la maggior parte della giornata di ieri. Le autorità locali hanno inoltre disposto la sospensione delle attività scolastiche e amministrative.