Se il governo di Giorgia Meloni ha dichiarato guerra alle navi delle Ong, che hanno la grave colpa di salvare vite nel Mediterraneo, bisogna peraltro ammettere che nessun partito ha dato finora anima e corpo per cambiare le norme che penalizzano l’Italia.
Quelle contenute nel cosiddetto Regolamento di Dublino, che impone al primo paese dove i migranti arrivano di farsi carico di tutte le domande di asilo e di protezione internazionale. Varato in forma di Convenzione nel 1990, con 12 paesi europei a sottoscriverlo, ed entrato in vigore sette anni dopo, è stato trasformato in Regolamento nel 2003, e ridefinito nella veste attuale nel 2013, con il sì non solo dei 27 dell’Unione, ma di altri ancora, come la Svizzera. Bastava una banale occhiata alla cartina del Mediterraneo per capire quanto l’Italia ne sarebbe stata danneggiata.
Fermo restando l’obbligo di far approdare le persone raccolte in mare, doveva esserne prevista fin da subito la redistribuzione fra tutti i paesi europei, secondo criteri ben definiti. Ma l’Italia firmò senza pretenderlo. Nel 1990 era al governo Giulio Andreotti, anche se l’emergenza sbarchi, almeno dalla costa africana, allora non esisteva. Nel 2003 il timone era in mano a Silvio Berlusconi, e nel 2013 al democratico Enrico Letta: ed è proprio in quell’anno che l’Italia avviò la missione umanitaria “Mare Nostrum”.
Ma ecco, cinque anni fa, l’inatteso colpo di scena: Il 16 novembre 2017 il Parlamento europeo con maggioranza dei due terzi varò la riforma che ci sarebbe servita: l’esame delle domande di asilo, con le nuove regole, non sarebbe più avvenuta nel primo paese d’ingresso. I richiedenti asilo sarebbero stati obbligatoriamente redistribuiti in tutti i paesi dell’Unione europea, proporzionalmente alla dimensione della popolazione, al prodotto interno lordo e ai “legami significativi”, soprattutto familiari.
Si doveva percorrere con energia e compattezza politica l’ultimo miglio: far sì che le nuove regole venissero approvate anche dal Consiglio dell’Unione Europea, perché potessero entrare in vigore. Il Partito democratico però, al governo con Paolo Gentiloni premier, Angelino Alfano ministro degli Esteri e Marco Minniti ministro dell’Interno, anziché intestarsi questa prima vittoria e spingere perché venisse superato il traguardo finale, non prestò alcuna attenzione all’evento, totalmente sottovalutato anche dai media italiani.
Gentiloni e Minniti anzi, proprio in quel 2017, firmarono un memorandum d’intesa con la Libia, donando motovedette alla locale guardia costiera, per intercettare i naufraghi e riportarli nei lager dell’entroterra. Patto rinnovato tacitamente il 2 novembre scorso. Così la riforma andò molti mesi dopo all’attenzione del Consiglio dell’Unione Europea che, sotto la presidenza bulgara, la mise in naftalina.
Le colpe, tuttavia, non possono essere addossate solo al Pd: il Movimento 5Stelle aveva paradossalmente votato contro quel testo nel Parlamento europeo e la Lega si era astenuta. “Io ero la relatrice del provvedimento per conto del Gruppo socialdemocratico europeo – ha raccontato Elly Schlein, oggi fra i candidati alla segreteria del Pd – Ho partecipato a tutte e 22 le riunioni di discussione e messa a punto, alle quali non si sono mai visti né l’allora eurodeputato Matteo Salvini, né altri della Lega”. Una rappresentanza politica, la nostra, incapace di unirsi e di battersi per una causa giusta. E chissà quando capiterà un’altra occasione.