Il 25 dicembre 1991 alle 18, Michail Sergeevič Gorbačëv si dimetteva da presidente sovietico e consegnava a Borís Nikoláevič Él’cin l’archivio dell’Urss Alle 18,35, era ammainata dalla cupola più alta del Cremlino la bandiera sovietica e saliva il tricolore russo. La storia in quegli istanti cominciava a preparare la polpetta avvelenata che stiamo mangiando in questi giorni.
Gorbačëv si ritrae, perché non c’è più lo stato del quale è capo. A sfilarglielo sono stati compagni di partito e di regime: i presidenti di significative repubbliche dell’Unione (con in testa Él’cin, da giugno presidente dell’allora repubblica socialista federativa sovietica Russa) che diciassette giorni prima, nella gosdacia di Viskuli, nella foresta Belovezhskaya, avevano firmato l’accordo per la dissoluzione dell’Urss, formalizzato il 21 ad Alma Ati, quando s’avvia la CSI, Comunità degli Stati Indipendenti.
Michail Sergeevič vuole mantenere in piedi l’Urss e il partito Comunista e riformarli in profondità: risulta tre volte sconfitto. Il comunismo sovietico non è riformabile, l’Urss è a pezzi, e per le riforme non ci sono uomini che vogliano e sappiano farle. Gorbačëv appare incapace al punto da farsi detestare dal suo popolo e beffare da chi dovrebbe servirlo ed essergli alleato, ma paradossalmente è l’unico, tra i capi del tempo, a battersi sinceramente per le riforme interne e per la pace internazionale.

Rispetto alle polemiche attuali sulle presunte responsabilità di Usa e alleati nel “provocare”, “sfidare” o “accerchiare” la Russia, quei giorni raccontano cose interessanti:
1. Lo smembramento russo è risultato di una dinamica interna.
2. L’indipendenza delle repubbliche viene da un accordo firmato da legittimi rappresentanti che detengono il diritto costituzionale a secedere.
3. La creazione della CSI passa da protocolli internazionali, quindi l’”indipendenza” degli stati seceduti viene riconosciuta integralmente dalla Russia. Accordi bilaterali successivi sistemeranno questioni pendenti, riguardanti proprietà, basi militari, etc. Ad esempio (errore enorme!) l’Ucraina, anche su pressione statunitense, avrebbe consegnato alla Russia l’armamentario nucleare presente sul suo territorio.
4. La Russia, e solo essa, succede all’Urss, la sostituisce e ne eredita diritti e doveri. È un processo attraverso il quale Mosca rinuncia a qualunque rivendicazione collegata al suo passato di “padronato” su territori e popoli da allora indipendenti e che nulla più avevano a che spartire con la Russia.
Putin va al potere per restituire ordine e dignità al suo paese autoumiliatosi. Già oscuro agente del Kgb e piccolo funzionario del comune di san Pietroburgo, plagiario conclamato alla tesi di laurea, viene “infiltrato” nel 1996 al Cremlino, diventando il direttore FSB che veglia alla porta delle notti di El’cin, tormentate dagli esiti di bagordi e festini. Si guadagna la stima dell’allora presidente e ne diviene il successore. Il suo primo atto di governo sarà garantire la totale impunità alla famiglia El’cin, un pardon che puzza insieme di salvacondotto e ricatto.
Putin ha adottato l’antica strategia entrista della scuola stalinista, nella quale è stato educato e nella quale si identifica: ora può svelarsi. La Russia, complice l’Ortodossia, deve essere al centro di un mondo nuovo, dove il dispotismo interno costituirà la base per il recupero della gloria perduta nella tragedia post-sovietica. Petrolio, gas e altre ricchezze naturali vengono messi nelle mani degli oligarchi vassalli del nuovo padrone, gli oppositori sono uccisi o imprigionati, la stampa imbavagliata, i partiti politici e la Duma addomesticati. Una riforma costituzionale garantisce a Putin il vertice sino al 2036.
Adesso, in linea con la spietatezza usata a Grozny, è pronto a colpire ad Aleppo, in Africa, nelle città ucraine. Navalny, dal carcere gli attribuisce conti offshore o affidati a prestanomi per 150 miliardi di euro e una villa da 100 milioni di euro nel sud della Russia. Nulla smuove il consenso dei “russi russi”, salvo scoprire che in Ucraina non moriranno solo caucasici e siberiani, ma anche i loro bianchissimi figli. Eppure Putin era stato chiaro: “il popolo russo sarà sempre in grado di distinguere i veri patrioti dalle canaglie e dai traditori, e li sputerà semplicemente fuori, come un moscerino che gli è volato accidentalmente in bocca».

Usa e alleati, in questo quadro, appaiono in qualche modo complici. Hanno: accettato la Russia nel G7; risposto blandamente alle aggressioni dirette o per procura in Armenia, Georgia, Siria, Africa; rifiutato l’Ucraina nella Nato e le basi richieste dalla Polonia; mancato di contrastare gli assassini politici; soprattutto finanziato l’erario moscovita con la dipendenza da gas e petrolio russi. Ci fosse stato un Churchill in circolazione avrebbe detto per Putin ciò che disse per Hitler in un gabinetto di guerra, volendolo sulla sedia elettrica: ““Deve morire come un gangster”.
Comunque improbabile che questa sia una soluzione ora praticabile, mentre la fine del despota potrebbe trovare realizzazione all’interno di uno dei seguenti scenari.
1.Gli alti gradi delle Forze Armate russe, mai così umiliate sul terreno, fanno quello che avrebbero dovuto fare il 24 febbraio; mettono agli arresti il presidente e lo sostituiscono con un esponente dello stato maggiore, che va, cappello in mano, a farsi perdonare dagli ucraini. Le condizioni minime per l’accettazione: restituzione dei territori occupati, pagamento dei danni di guerra, risarcimento alle famiglie degli ucraini uccisi e invalidati dall’invasione.
2.Putin non riconosce il fallimento e instaura la legge marziale, per reclutare fino all’ultimo ragazzo e consumare la vendetta contro gli ucraini e l’Europa democratica. Un colpo di stato lo dimette e, in base alla legge marziale, lo giudica e condanna a morte, insieme a gerarchi e complici dei piani alti. Obiettivo: la scissione di responsabilità e il cambio di regime.
3.Putin utilizza l’ordigno nucleare (chi scrive, tuttavia, ne esclude l’eventualità). Se le modalità d’uso prevedessero la risposta Nato, la Russia soffrirebbe in rappresaglia una catastrofe umanitaria senza precedenti. Il regime di Putin cadrebbe e la Russia che conosciamo non ci sarebbe più. Ovviamente per l’occidente si sarebbe trattato di una vittoria pirrica..
Immaginare che l’attuale inquilino del Cremlino si ravveda e spieghi come abbia preso un abbaglio, appare fuori luogo. Impensabile anche che gli ucraini depongano le armi con le quali stanno eroicamente difendendo la loro terra. Né è ancora il tempo per efficaci mediazioni. Certo, ci sono anche i miracoli…
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