Il risultato, anche se minimo, viene annunciato a gran voce dal National Labor Relations Board e diventa una nuova spinta per un movimento in costante crescita. Anche i dipendenti Apple hanno detto “Sì”. In un negozio di Tonwson, nell’area di Baltimora, hanno votato per la creazione di un sindacato, diventando il primo degli oltre 270 punti vendita dell’azienda negli Stati Uniti a creare un’associazione dei lavoratori. Molti altri punti vendita seguiranno in tutti gli Stati Uniti. E più di una dozzina si stanno già muovendo.
I giovani sindacalisti spontanei, alcuni dei quali sono stati ricevuti da Biden alla Casa Banca, chiedono più possibilità di parola sui salari e sulle politiche contro il Covid-19.
I più attenti alle dinamiche aziendali sanno bene che la formazione del sindacato rappresenta un duro colpo per Apple, che si è difesa dal diffuso malumore sostenendo che la società paghi più di molti rivenditori e offra una serie di benefit non indifferenti, tra cui l’assistenza sanitaria e le borse di studio.
Il mese scorso, forse percependo nell’aria il desiderio di un passo avanti, l’azienda ha aumentato il salario iniziale per i dipendenti dei negozi da 20 a 22 dollari l’ora e ha pubblicato un video in cui Deirdre O’Brien, responsabile dei negozi, avvertiva di un ipotetico peggioramento dell’attività dell’azienda nel caso in cui venisse propagandata l’adesione.

Un copione molto simile a quello seguito da Amazon, che ad aprile ha dovuto affrontare la prima sindacalizzazione negli Stati Uniti proprio a New York, nel magazzino di Staten Island. Nel caso del gigante di Jeff Bezos, i pezzi grossi erano stati accusati di imporre ai lavoratori la partecipazione a riunioni di “indottrinamento”, in cui la società veniva esaltata e i “dissidenti” sindacalisti additati come un pericolo per la stabilità dell’impresa.
Così pare essere successo anche in casa Apple, o almeno ad Atlanta, dove gli organizzatori di un sindacato mai nato hanno presentato una denuncia formale al National Labor Relations Board sostenendo che la creatura di Steve Jobs avesse imposto ai lavoratori l’ascolto messaggi antisindacali durante le riunioni obbligatorie.
Ad Atlanta, l’idea di un’associazione dei lavoratori è naufragata dopo che, per rispondere alle pressioni, Apple ha deciso di aumentare i salari e mettere in evidenza i vantaggi sociali offerti dai propri contratti.
Ma il sentimento “rivoluzionario” dei lavoratori statunitensi, sempre più convinti a lottare per i propri diritti, non è materia esclusiva delle Big Tech. Anche Starbucks, leader incontrastata nel settore della caffetteria, sta vivendo al suo interno la crescita di un consociativismo sempre più strutturato.

Tutto è nato a Buffalo, dove il team di un punto vendita è riuscito a fare il primo passo e spronare altri negozi a presentare domanda di elezioni sindacali. Era dicembre e da allora più di 150 dei circa 9.000 locali di proprietà dell’azienda negli Usa si sono detti favorevoli alla formazione di un sindacato.
In sei mesi hanno ottenuto successi in serie e, sulle ali dell’entusiasmo, sono riusciti a far sentire la propria voce davanti ai dirigenti.
I dipendenti Apple ora guardano a loro con ammirazione e stanno progettando di allargarsi anche al Grand Central Terminal di New York e in un negozio di Louisville, in Kentucky. Per ora stanno raccogliendo i pareri. Poi, una volta sicuri di avere alle spalle un consenso solido, chiederanno il voto ufficiale.