Ha ripetuto per 12 volte in pochi secondi la frase ‘I can’t breathe’ e poi è morto, ucciso dalla brutalità della polizia nel sud della California. Due mesi prima di George Floyd, a marzo del 2020 un altro uomo rimase vittima di una violenza ingiustificata e sproporzionata da parte di un gruppo di agenti che lo aveva fermato per un controllo stradale.
Si chiamava Edward Bronstein, era bianco ed aveva 38 anni. Nel video agghiacciante di 18 minuti, ripreso da uno dei poliziotti e che un giudice dopo due anni ha deciso di diffondere, si vede l’uomo in ginocchio, ammanettato e circondato. Sembra lucido, ma spaventato quando gli viene ordinato di stendersi per un prelievo di sangue. Non lo fa, resta in ginocchio. I poliziotti alzano i toni, lo accusano di “voler scatenare una lite”. Lui risponde di no, di voler sottoporsi “volontariamente al prelievo” ma esita a stendersi.
La tensione sale. Bronstein sembra sempre più impaurito, terrorizzato e spaesato. Si guarda intorno, in cerca di una scappatoia. All’improvviso gli agenti lo buttano a terra e cominciano a premere con le ginocchia sulla sua schiena. Lui continua a ripetere che è disposto a fare il prelievo di sangue ma gli agenti lo ignorano. A un certo punto inizia a ripetere le stesse parole di Floyd, “I cant’ breathe” (non riesco a respirare) e “Let me breathe” (lasciatemi respirare). Lo fa per 12 volte in soli 30 secondi. I poliziotti non lo ascoltano. E’ una scena atroce da guardare.
Alla fine perde conoscenza e per 3 interminabili minuti i poliziotti continuano a prelevargli il sangue senza rendersi conto. Solo dopo oltre 11 minuti dai suoi ultimi gemiti tentano inutilmente il massaggio cardiaco. Per l’autopsia Bronstein è morto per “intossicazione acuta di metanfetamine durante l’arresto”.
La famiglia ha contestato questa conclusione e ha fatto causa ad una decina di poliziotti per per uso eccessivo della forza e violazione dei diritti civili. Ha anche spiegato che quella che sembrava un’esitazione di fronte alla richiesta di prelievo del sangue altro non era che una terribile fobia di Edward verso gli aghi.
Due mesi dopo a Minneapolis moriva soffocato dal ginocchio di un poliziotto il 46enne George Floyd. La sua implorazione, ‘I can’t breathe’, è diventata il simbolo della violenza della polizia contro la comunità afroamericana e ha scatenato proteste senza precedenti negli Stati Uniti e in tutto il mondo.
L’agente che l’ha ucciso, Derek Chauvin, è stato condannato a 22 anni e mezzo. Il caso di Bronstein non ha implicazioni razziste ma è comunque un esempio evidente dell’eccesso di violenza diffuso tra le forze dell’ordine americane. Da due anni negli Stati Uniti si discute di una profonda riforma della polizia ma l’amministrazione Biden non è ancora riuscita a realizzarla. Alcuni stati hanno autonomamente preso provvedimenti per limitare l’uso della forza da parte degli agenti.
Proprio la California ha deciso di vietare la presa sul collo che impedisce l’afflusso di sangue al cervello. In altri stati si pensa di bandire la pratica barbara di premere le ginocchia sulla schiena e sul collo della persona arrestata dopo averla schiacciata a terra supina. Quella che ha ucciso Bernstein e Floyd.