Ci sono due frasi da cui poter prendere spunto: “la guerra è guerra”; “la guerra è sempre da condannare”.
In base alla prima tutto il mondo dovrebbe contrastare l’azione di Putin; in base alla seconda la comunità internazionale può solo stare a guardare come la Russia, alla fine di questa drammatica vicenda, destabilizzerà così tanto il Paese ucraino da giungere a radicare il fronte russo quantomeno sino alla linea del Dnipro. Quest’ultimo è uno dei fiumi più grandi d’Europa e collega Russia, Bielorussia e Ucraina sfociando nel Mar nero. Durante la Seconda guerra mondiale, detto fiume, fu il fulcro della c.d. “linea Stalin” su cui, in buona sostanza, ci furono i più aspri combattimenti tra tedeschi (nazisti) e russi (comunisti).
Il Dnipro, ancora oggi, può essere considerato una sorta di fronte geografico tra ovest ed est ucraino: nel primo il versante i filoeuropei, nel secondo le forti minoranze russofone.
Fatta questa premessa geografica non sfuggirà di intuire, quindi, qual è la partita russa in una delle guerre più incredibili del nuovo millennio: l’annessione per affiliazione implicita.
Una tecnica politica basata su almeno due elementi: la radice etnico-nazionale; la propaganda disaffezionante dallo Stato e verso altro Stato.
Ecco, già su quest’ultimo passaggio potremmo altrettanto intuire come tra Stato e Patria c’è una netta differenza ed è quella che i russofoni ucraini (i separatisti verso oriente) cavalcano da anni per giustificare la volontà di farsi annettere da Putin.
Patria è una parola che deriva da “patrio” (usata come accezione da Machiavelli); è una espressione, grossomodo, che comprende l’idea di medesimo territorio storico riconosciuto e un popolo, senza differenza di ceto, di razza, di sesso. Nazione invece, prendendo spunto da Giovanni Boccaccio, è individuabile nel complesso di individui legati da una stessa lingua, da una stessa storia, da una stessa civiltà, dagli stessi interessi. Certamente “patria” e “nazione” in molti casi, specie nell’era moderna, possono essere congiunti nello stesso soggetto. È qui che si inserisce una particolare differenza, quindi, tra “patriota” e “nazionalista”.
Quanto appena accennato rende l’idea di come i casi Crimea e le nuove repubbliche di Donetsk e Lugansk sono figli della stessa questione (non a caso il 21 febbraio scorso il Presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto il Donbass come parte integrante della storia e della cultura russa). Non dimenticando che lo stesso processo di separatismo lo sta vivendo la Moldavia sul confine Ucraino: si tratta della Transnistria (insiste per l’indipendenza dall’inizio degli anni Novanta ed è filorussa) e della Gagauzia (che ha ricevuto più autonomia dal centro Moldavo ed è a maggioranza turcofona).
Questa panoramica delle cose, non certo con la presunzione di esaustività, ci pone davanti a due evidenze: la prima è che nel mondo della ex Unione Sovietica, specie quello non sviluppatasi in maniera galoppante (come ad esempio sta avvenendo per l’Albania, Croazia, ecc.), c’è una sorta di regolamento di conti continuo tra chi pur essendo cittadino di uno Stato si sente intimamente russo; la seconda è che la disaffezione politica di cui si è detto in precedenza si sta alimentando proprio per effetto di fronti separatisti posto che nel Donbass ci sono circa 770.000 ucraini aventi anche passaporto russo su una popolazione di circa 3,7 milioni di abitanti.
E Mosca, dal canto suo, ultimamente ha stimato che a seguito del riconoscimento delle due nuove repubbliche circa un altro milione di residenti hanno fatto la stessa richiesta di ottenimento del passaporto russo.
Allora si pone una riflessione binaria dopo quest’ultimo passaggio.
La prima, dati alla mano, prende linfa dal concetto di maggioranza: se gli ucraini del Donbass richiedenti passaporto russo superano la metà più uno della massa residente-cittadina c’è palesemente un empirismo che gioca a favore della scelta politica putiniana di riconoscere le due repubbliche summenzionate.
La seconda, fatti alla mano, si avvia verso una scontata e drammatica verità: uno Stato è sovrano se è capace di esercitare ascendenza sui propri cittadini; diversamente rischia la disgregazione. È ciò che avvenne d’altronde con l’Unione Sovietica.
Certamente l’Ucraina sta subendo tanti torti in questo momento storico, ma sta pagando duramente il prezzo di non esser riuscita a polarizzare culturalmente tutti i popoli dell’ex Unione Sovietica verso il neo-europeismo.
Questo elemento chiave è simbolicamente il deterrente maggiore alla stabilità del Paese perché intorno a sé tutto il resto ha aderito alla Nato (tranne la Moldavia ed ovviamente la Bielorussia).
L’adesione alla Nato è, pertanto, un confine culturale prima di tutto ed al tempo stesso un vero e proprio argine verso le schizofrenie separatiste.
Guarda caso, nella Nato, c’è la Turchia a pochi chilometri di distanza.
Guarda caso, ancora, il Dinpro sarebbe l’unica via della ex Unione Sovietica per ridiscutere del traffico merci e del controllo dei porti a livello europeo; ciò proprio in chiave di incidenza sulle dinamiche dei Paesi di quell’area che sono entrati in Nato (Chi tra il mondo occidentale e quello orientale assicura qualcosa quindi?).
E ci sono due motivi per presumerlo: il primo è che l’Ucraina, da sola, non ha forza perché diversamente avrebbe difeso il confine dall’azione di Putin di qualche giorno fa; il secondo si chiama “idrovia E-40” che collega Polonia, Bielorussia ed appunto Ucraina. E da qui che la Russia muove velatamente la sua partita con molto rischio che, come in tutte le guerre, porta morti e distruzione. Prima di tutto nell’animo culturale dei popoli.
Che l’unica soluzione, pur di mettere fine al bellicismo, sia la divisione pacifica e temporanea dell’Ucraina in occidentale e orientale? Forse troppo tardi.
Per ora il Comunitarismo, salvo le sanzioni annunciate, rischia di far implodere la politica della democrazia nei Paesi, come l’Ucraina, che ha pochi anni di indipendenza.
Quest’ultima, l’indipendenza appunto, nessuno la garantisce se non in una dimensione più ampia.
Tanto vale per l’Ucraina, tanto vale anche per le zone autoproclamate dai separatisti. Il riconoscimento altrui, infatti, ha valore solo in condizioni di eguaglianza.
Il Comunitarismo (europeo e filo americano) contro cosa si sta scontrando quindi? Il satellitismo culturale che è, da che mondo è mondo, la radice di tutti i disastri della storia.
L’emancipazione umanitaria dei Popoli, in una nuova dimensione di interdipendenza, è la sfida che la questione ucraina pone davanti all’umanità. Ma servirà il cessate il fuoco. Cosa difficile senza capire se Kiev resisterà fino in fondo o finirà come Costantinopoli nel 1453.