Era stata annunciata un anno fa l’intenzione dell’amministrazione Trump di riprendere le esecuzioni dei condannati dai tribunali federali. In particolare la richiesta era stata inoltrata dal ministro della Giustizia William Barr, che voleva porre fine alla moratoria sulle condanne a morte federali, e riprendere le esecuzioni applicando una nuova procedura, attraverso l’utilizzo del farmaco pentobarbital.
La pena di morte era rimasta in vigore solo in alcuni degli stati americani; per questo la prassi era stata abbandonata durante l’amministrazione Bush. L’ultima era avvenuta nel 2003.
Oggi, dopo 17 anni, a decidere la morte di Daniel Lewis Lee, 47 anni, è stata a Corte Suprema americana che si è pronunziata con una maggioranza di 5 a 4. L’uomo è stato ucciso con un’iniezione nel penitenziario di Terre Haute, in Indiana, dov’era stato rinchiuso da circa 20 anni.

Lee era stato accusato per aver partecipato al massacro della famiglia Muller, avvenuto nel 1996. L’uomo faceva parte di un’organizzazione suprematista bianca, nota come Aryan Peoples’ Republic (Repubblica dei Popoli Ariani). Lee e i membri dell’organizzazione avrebbero ucciso il trafficante di armi William Muller, sua moglie Nancy e la figlia di 8 anni.
È il primo di tre detenuti federali in programma per l’esecuzione federale durante questa estate 2020.
Nemmeno il dissenso dei giudici ha salvato Daniel Lewis Lee dal braccio della morte.

