Settimane di lockdown che sono diventate mesi. Con il tempo che sembrava non passare più. Un racconto della città vuota, Milano, città che non si fermava mai. Almeno fino alla notte del 9 marzo quando il coronavirus si è impadronito dell’Italia ed il tempo, come congelato, ha portato a scoprire a tanti di noi i suoni di un silenzio che non eravamo più abituati ad ascoltare. O forse non avevamo mai ascoltato. Con il suo ultimo lavoro Ali Dorate, un corto girato con un drone nei giorni della pandemia, l’attore e regista teatrale Massimiliano Finazzer Flory ci porta nella Milano deserta del lockdown, dove le sole voci che si ascoltano sono quelle delle sue statue che, guardando in basso alle strade deserte sentono di dover rassicurare, dire qualcosa ad un popolo che nel giro di una notte ha capito che tutto non poteva più essere come prima.
Ho chiesto a Massimiliano Finazzer Flory di raccontarci la storia di questo progetto.

Ci racconti di come ha visto la sua Milano durante durante il lockdown, com’è nata l’idea di usare le statue simbolo del nostro passato per parlarci?
“L’idea attiene alla relazione tra il visibile e l’invisibile, tema da sempre del cinema. Le statue non sono solo materia ma anche memoria. E sono sopratutto figure umane. Hanno storie. Il covid è un nemico invisibile. E senza passato. Da qui poi ho posto la sfida tra le statue e il covid nella dimensione più naturale di questa epoca: l’aria. Cosi ho girato con i droni per stare nella sospensione. Che poi era il sentimento di tutti. Solo che le statue sanno che la storia ha un suo eterno ritorno”.
Ali dorate, incidentalmente, viene prodotto solo un paio di mesi prima dell’esplosione delle tensioni razziali che dagli Usa si sono propagate in tutte quelle nazioni dove, colonialismo e un passato senz’altro responsabile di ineguaglianze sociali ha visto la caduta di statue simbolo di una storia sbagliata. Come non riflettere dunque sul potente messaggio che ciò che poggia su un piedistallo può trasmettere? Soprattutto se, come nel caso delle statue tirate giù in America quel messaggio parla di segregazione e presunte supremazie bianche? Su questo Massimiliano Finazzer Flory ha un suo pensiero:
“Le statue americane – ci dice – vengono vissute come proiezione del Super Ego del personaggio. Da qui nasce il ciclo ‘potere e rimozione’. Da noi una statua si porta addosso spesso i segni di una sconfitta eroica di un sacrificio troppo tardi compreso. Sono statue che sono fatte dal dolore. Evidente che la matrice delle statue è greco-romana con il segno della croce. In America spesso invece indicano lo specchio rassicurante di una storia troppo breve che si autolegittima con il potere fine a sé stesso”.

Cos’è che spaventava e affascinava allo stesso tempo del silenzio delle città?
“Il silenzio non sapeva di morte – spiega Finazzer Flory – ma di attesa. Dunque veniva dal teatro della vita. Bisogna avere il coraggio di dire che il silenzio è stato bellissimo. Infatti ora manca. È vero che in realtà come tutti i silenzi aveva le sue voci. Le sirene. Ma anche fontanelle d’acqua oppure il vento e i cani. Insomma la città aveva riscoperto la natura”.
Immagino che logisticamente è stato complicato produrre questo corto, nessuno poteva uscire…
“Il film ha avuto la grande opportunità di documentare. Una docu-fiction fino a un certo punto. Perché grazie al quotidiano Il Giorno e al suo direttore abbiamo avuto insieme alle autorità competenti la possibilità di raccontare la realtà a una società che chiedeva aiuto. Dunque grazie a un nostro trailer abbiamo dato immagini pubbliche e politiche in favore dell’orgoglio e della speranza attraverso la bellezza. Abbiamo detto: non è vero che le città sono vuote. Esse sono piene d’arte. Guardatele”.
In altri articoli che hanno già parlato di questo corto, leggo che le statue nel film sono 19 come richiamo al covid19, è così?
“Diciannove sono le statue e i set del film – conferma il regista – ma anche il tentativo di dire che i simboli servono come e, a volte, più dei numeri. Il covid comunicava con curve e proiezioni statistiche, con bollettini. Il film invece gioca sulla notte e il giorno. Su un’alternanza di sentimenti dove il tempo guarisce tutto”.
Il volo sui simboli della nostra cultura si svolge il venerdì prima di Pasqua. La città è deserta, all’apice della pandemia, non si sentono voci ma erano rimaste le statue. Preoccupate della nostra sorte sono scese dai piedistalli, a discutere. Per salvarci. Chi sapeva di scienza, di Dio, di arte. Tra le statue del film: Leonardo da Vinci, Alessandro Manzoni, Francesco Hayez, Francesco d’Assisi, Camillo Benso conte di Cavour, la Madonnina, Giuseppe Verdi, le cariatidi della Galleria, Costantino e Arcangelo Raffaele.

Pensa che l’uomo sia in grado di tornare al passato? Provare a ridefinirsi?
“Una delle mie statue, Giuseppe Verdi, su cui da anni lavoro in teatro dice: “tornate all’antico e sarà un progresso”. Vuol dire che nell antico c’è ancora qualcosa che non si è manifestato. Forse una rivelazione”
Quando verrà presentato il corto?
“Spero davvero che festival come Venezia e Toronto abbiamo il coraggio di darci spazio – prosegue Finazzer Flory. Noi siamo, seppure con Rai Cinema, degli indipendenti. Da ottobre il film sarà in sala a iniziare da Milano e Roma. A New York City faremo le presentazioni pubbliche sulla base della partecipazione al Tribeca Film Festival. Per i media speriamo già ad ottobre. Mi manca tanto la mia America e New York City”.
Accenniamo al prossimo lavoro su Dante?
“Il prossimo lavoro tiene insieme il teatro, la danza contemporanea, la musica e le illustrazioni antiche. Ovvero un “Dante, per nostra fortuna” titolo di un film di 30 minuti che introduco e commento recitando. Come se Dante fosse prima voce e poi spettatore della sua opera. Coreografie alla Pina Bausch tra musica classica e musical accompagnano la lettura dantesca insieme a immagini di Gustave Doré. “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.