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June 13, 2020
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Gli USA soffocati tra violenza razzista e Covid: in ginocchio ma non rassegnati

L’assassinio di George Floyd avrà lo stesso potere dirompente dell’atto di disobbedienza civile di Rosa Parks

Stefano AlbertinibyStefano Albertini
Gli USA soffocati tra violenza razzista e Covid: in ginocchio ma non rassegnati

Manifestanti in ginocchio a Washington DC (photo by Ryan Elivo)

Time: 3 mins read

Guardate il vostro orologio e segnate l’ora. Trattenete il fiato e continuate a leggere.

 

Una manifestante alla protesta di Washington, DC (photo by Ryan Elivo Alfau)

Gli Stati Uniti sono in ginocchio, messi in ginocchio dal Coronavirus che ha mietuto più vittime e contagiati lì che in qualsiasi altro paese al mondo. Una pandemia che ha letteralmente soffocato le fasce più povere della popolazione che appartengono in gran parte alle minoranze nere e ispaniche. Una pandemia che Donald Trump, un presidente sempre più screditato e incompetente, ha sottovalutato e irriso come “un tranello” ordito dai suoi avversari politici.

 

Continuate a non respirare.

 

Gli Stati Uniti, già in ginocchio per la pandemia si sono letteralmente messi in ginocchio per protestare contro la criminale e razzista violenza della polizia da sempre indirizzata in maniera sistematica contro neri e ispanici. Le proteste sono state scatenate dall’uccisione di George Floyd. Il 25 maggio, infatti, un poliziotto bianco, Derek Chauvin, ha ucciso George Floyd, un uomo nero disarmato, tenendogli un ginocchio sul collo per 9 minuti. C’è anche un nome per questa pratica barbara. Si chiama chokehold: soffocamento o strangolamento, una tattica insegnata in quasi tutte le accademie di polizia d’America e usata senza troppe restrizioni dagli agenti. Sei anni fa un poliziotto bianco, Daniel Pantaleo, uccise un uomo nero, Eric Garner a New York nello stesso modo. Ogni giorno decine se non centinaia di poliziotti usano sia tecniche come questa che altre, legalmente proibite ma ampiamente utilizzate durante operazioni di routine che non richiederebbero quel livello di violenza bruta per essere tenute sotto controllo.

Manifestanti in ginocchio a Soho (NYC)

Cos’ha avuto l’uccisione di George Floyd di diverso rispetto alle tante morti e menomazioni che avvengono ogni giorno per le strade della più ricca e potente nazione al mondo per mano delle sue forze di polizia e quasi sempre ai danni di cittadini di colore? Ovviamente la brutalità glaciale dell’assassino e il fatto che i suoi colleghi non l’abbiano fermato e siano, anzi, stati complici del delitto. Ma a fare la differenza sono state le telecamere di sorveglianza dei negozi attorno alla scena del delitto e i telefonini degli astanti che hanno registrato le immagini raccapriccianti dell’agonia di George Floyd, il suo volto al suolo contraffatto dal dolore e l’espressione algida del suo assassino mentre Floyd ripeteva “I can’t breath”, non riesco a respirare e invocava la sua mamma.

 

Non respirate!

 

I video hanno inchiodato i poliziotti alle loro responsabilità e hanno risvegliato la coscienza collettiva dell’America migliore che sembra essersi svegliata dal torpore incredulo in cui 4 anni di amministrazione Trump l’avevano affondata. Le manifestazioni, iniziate a Minneapolis, la città in cui George Floyd è stato ucciso, si sono estese a tutta la nazione e a molte altre parti del mondo. Alcune sono degenerate in atti di vandalismo e saccheggio, spesso compiuti da suprematisti bianchi infiltrati tra le schiere dei manifestanti per screditare il movimento e per derubare negozi e magazzini. La maggior parte sono state non-violente e creative con cartelli, street art, danze, e canti di protesta. In tutte c’è stato il momento in cui tutta la folla si è messa in ginocchio all’unisono. Un gesto diventato rivoluzionario da quando la leggenda del football americano Colin Kaepernick l’ha adottato durante l’esecuzione dell’inno nazionale americano per protestare proprio contro la brutalità e il razzismo della polizia. Un gesto che gli è costato il licenziamento e l’impossibilità di trovare un altro ingaggio tra le squadre della potentissima National Football League, la federazione sportiva che si arricchisce grazie a straordinari atleti neri, ma che è saldamente gestita dalla solita élite bianca.

La Sindaca di Washington ha rinominato un viale col nome del movimento Black Lives Matter (photo by Ryan Elivo Alfau)

State sempre trattenendo il fiato?

 

Quel che è certo è che le cose non saranno più come prima. L’assassinio di George Floyd avrà lo stesso potere dirompente dell’atto di disobbedienza civile di Rosa Parks che, rifiutandosi di alzarsi dai posti riservati ai bianchi sugli autobus comunali di Montgomery (Alabama) diede una svolta al movimento contro la segregazione e per i diritti civili degli anni ’60. Ma fino a quando l’America non avrà fatto seriamente i conti con il suo passato schiavista e con le sistematiche violazioni dei principi di uguaglianza scanditi nella sua costituzione, ma applicati per secoli solamente a una parte dei suoi cittadini, non sarà possibile raggiungere una vera pace sociale.

 

Per leggere questo articolo avrete impiegato circa cinque minuti. Se aveste davvero trattenuto il fiato da quando avete iniziato a leggerlo ne avreste altri 4 di agonia per provare quello che ha provato George Floyd prima di morire. Perché la sua morte non sia vana è necessario che le cose cambino radicalmente. E non solo negli Stati Uniti.

 

 

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Stefano Albertini

Stefano Albertini

Stefano Albertini è Direttore della Casa Italiana Zerilli-Marimò e Professore nel Dipartimento di Italianistica della NYU. Si occupa di letteratura, politica, cultura e cinema italiani. Stefano Albertini is Director of the Casa Italiana Zerilli-Marimò and Professor in the Department of Italian Studies at NYU. His work focuses on Italian literature, politics, culture, and cinema.

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