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Piano Cóndor: la giustizia finalmente può arrivare dall’Italia

Dopo le sentenze del 2017, è in corso a Roma il processo di appello contro i responsabili dei crimini del terrorismo di stato argentino

Dora SalasbyDora Salas
Piano Cóndor: la giustizia finalmente può arrivare dall’Italia

Jorge Rafael Videla.

Time: 4 mins read

“Giorno della Memoria”: il 24 di marzo si ricorda in Argentina il colpo di Stato militare che nel 1976 rovesciò il debole governo democratico della presidente Maria Estela Martínez de Perón e segnò l’inizio della più spietata dittatura del XX secolo in quel “Paese della fine del mondo”. Il golpe argentino era parte del “Piano Condor” di coordinamento repressivo illegale tra le dittature che in quel periodo erano al potere nel Sudamerica, che allora era chiamato patio de atrás (cortile di dietro) degli Stati Uniti (USA).

Per il Cile, con Augusto Pinochet al potere dal 1973, il Brasile, l’Uruguai, la Bolivia, il Peru e il Paraguai, il piano sistematico e massiccio mirato a annientare ogni opposizione politica non aveva frontiere. Servizi segreti, personale delle forze armate e della polizia, campi di sequestro, di tortura e di sterminio sono stati il destino final di migliaia di persone, molte di loro italiane o con doppia cittadinanza.

Augusto Pinochet (Wikimedia Commons).

Il Terrorismo di Stato ha calpestato i diritti umani fondamentali e ha fatto conoscere nel mondo una parola che ormai si capisce e si ripete nella lingua spagnola, i desaparecidos. Le denuncie internazionali, gli appelli alle Nazioni Unite dei parenti delle vittime e di alcuni, pochissimi, sopravvissuti erano assolutamente inutili.

Tra le mie mani ho il dossier che un anno fa mi ha consegnato a Buenos Aires la Conferenza Episcopale Argentina (CEA) con i documenti che la Chiesa Cattolica conserva, nei suoi archivi, sui desaparecidos delle famiglie argentine, compresa la mia.

Ci sono le mie lettere al Nunzio Apostolico, alla Segreteria di Stato Vaticana, ai sindacati; documenti giudiziari, articoli pubblicati in diversi giornali, in particolare italiani. E ci sono pure le risposte, ovviamente negative, con la firma di alti membri della Chiesa come Monsignor. Pio Laghi (all’epoca Nunzio di BsAs) e mons. Achille Silvestrini (Segreteria del Consiglio per gli Affari Pubblici dello Stato del Vaticano).

E non solo. C’è una lunga lettera firmata da un gruppo di parroci, viceparroci e componenti dei consiglio pastorale di alcune chiese di Roma inviata nel 1979 a Papa Giovanni Paolo II. Tutti i documenti chiedono “Verità e Giustizia”. Una domanda che si è ripetuta nel tempo e che si ripete ancora. Ma i meandri della Storia e le strade della Giustizia non vanno di pari passo con le necessità delle vittime.

La fine delle dittature in Sudamerica e le democrazie successive hanno aperto un periodo di luce e di ombre in ogni singolo Paese, con leggi di Punto Final e Obediencia Debida, amnistia e domande di riconciliazione.

L’Italia, che può giudicare in contumacia persone imputate di reati commessi all’ estero contro cittadini italiani (art. 8 del Codice Penale), ha portato avanti più di una causa contro i responsabili dei crimini del terrorismo di stato argentino, ed ha aperto anche un complesso processo contro i responsabili dell’Operazione Condor coinvolti nella scomparsa di 23 cittadini italiani.

Processo Condor, Corte D’Assise di Appello, pausa durante udienza a Piazzale Clodio, Roma, aprile 2018. PM Cugini e avvocato Giancarlo Maniga.

La causa Plan Condor ha visto una  sentenza di primo grado il 17 gennaio del 2017. Nella sala bunker di Rebbibia è stata provata per la prima volta a livello europeo l’esistenza del Plan Cóndor: sono stati condannati all’ ergastolo 8 persone (l’ex presidente della Bolivia Luis García Meza Tejada, l’ex ministro dell’Interno boliviano Luis Arce Gómez, l’ex ministro degli Esteri dell Uruguai Juan Carlos Blanco, il cileno Hernan Jeronimo Ramirez, l’ex presidente del PeruFrancisco Morales Cerruti Bermudez, il colonnello in congedo dell’esercito del Cile Valderrama Ahumada, l’ex primo ministro del Peru Pedro Richter Prada e l’ex capo servizi segreti del Peru German Ruiz Figeroa). Le persone assolte sono state 19; tra queste il tenente di vascello Jorge Nestor Fernandez Troccoli, già a capo del sistema di repressione della marina militare uruguaiana, che ha cittadinanza italiana, e quindi, se condannato, potrebbe scontare la pena  in questo Paese, dove risiede.

Processo Condor, aula bunker di Rebibbia, gennaio 2017. La disperazione dei parenti delle vittime dopo la lettura della sentenza di primo grado.

Dopo le sentenze del 2017, che naturalmente hanno lasciato completamente insoddisfatti i parenti delle vittime, attualmente è in corso a Roma il processo di appello. Nei giorni scorsi, il procuratore generale Francesco Mollace ha chiesto davanti alla Corte d’Assise di Appello di Roma, a Piazzale Clodio, di condannare all’ergastolo tutti i 24 gli imputati nel processo di appello del Plan Cóndor.

Mollace ha affermato che gli imputati “sono tutti responsabili” per “aver contribuito a un piano che ha portato a una devastante opera di sterminio delle opposizioni”. Il P.G ha affermato a conclusione della sua perorazione, che la sentenza di primo grado “non ha dato giustizia alle vittime, né all’ansia di libertà di quei popoli che pensavano di affacciarsi alla democrazia e invece sono stati annichiliti”.

Il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella in visita nel 2017 al Parco della Memoria di Buenos Aires (Foto Quirinale.it)

La PM Tiziana Cugini ha ulteriormente precisato le motivazioni della richiesta di pena: “l’uccisione era la regola. Tutto l’apparato lavorava per questo obiettivo. Non è vero che gli imputati avevano un rango intermedio e per questo non potevano decidere della vita e della morte dei sequestrati”. Tutti gli imputati “erano affidabili operatori di morte pienamente consapevoli del compito che erano chiamati a svolgere”. La sentenza della prima Corte d’Assise d’Appello è prevista  per il prossimo mese di luglio.

In Argentina, intanto, il prossimo 26 di marzo, davanti a un Tribunale Orale Federale della provincia di Buenos Aires, si apre una causa contro  nove imputati per 85 vittime durante la chiamata “contraofensiva”, operazione che gli oppositori al regime tentavano di portare avanti nel 1979 e  nel 1980.

Un nuovo 24 marzo, a 43 anni dal colpo di Stato in Argentina, trova il Sudamerica in un cono di ombre, con la minacciosa presidenza di Donald Trump negli USA. L’Argentina, in particolare, subisce le conseguenze del neoliberismo ad oltranza del presidente Mauricio Macri, con una inflazione del 3,8% solo nel mese di febbraio scorso, con 1,75 milioni di persone senza lavoro alla fine del 2018 , vale a dire, 400 mila in più dello stesso periodo del 2017 (in un Paese di 40 milioni di abitantiI) e se si aggiungono le persone che riescono a trovare piccoli lavori di pochi giorni, la cifra dei disoccupati sale a 2,3 milioni. Famiglie che vivono sotto i ponti in quanto non riescono a pagare l’affitto di almeno una stanza, bambini che arrivano a scuola senza mangiare, ospedali affollati  in uno stato spaventoso di precarietà, imprese che chiudono, dollaro alle stelle, indebitamento con il FMI, episodi di corruzione anche tra i Magistrati . In questa situazione, il 24 marzo 2019 l’Argentina va in Piazza, con le Madri della Piazza di Maggio in testa.

“Non vogliamo vendetta. Uno stato democratico ha bisogno di giustizia. Non si può pensare a una soluzione democratica se non sarà fatta giustizia per gli scomparsi”. Questa dichiarazione, non nuova, è stata fatta da una sopravvissuta in una intervista pubblicata in Italia il 1 di maggio del 1983. Oggi l’affermazione va ricordata e ripetuta e non solo per il Sudamerica. La Corte d’Assise di Appello di Roma può dimostrare a luglio che la giustizia è uguale per tutti e ovunque. Sicuramente è una base ferma per un concreto Mai Più al Terrorismo di Stato e alla drammatica scomparsa di tante persone.

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Dora Salas

Dora Salas

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