Questa è una storia che dovrebbe insegnare qualcosa. Che dice qualcosa. Una storia palermitana, che autorizza briciole di ottimismo e speranza. Quartiere Ballarò. Chi c’è stato anche una volta non può non aver sentito il forte aroma di sardine fritte o il profumo delle arancine. Da qualche tempo questi “odori” tipicamente siciliani si mescolano con altri, venuti da “altrove”. A Ballarò, infatti, da un po’ ci sono molti negozianti che vendono manioca, fufu, okra, ghi, altre spezie. Per strada volti che tradiscono il paese d’origine, può essere il Bangladesh o il Ghana, o la Nigeria.
Prima di proseguire, un passo indietro; aiuta a capire. Nel dicembre scorso una quarantina di presunti mafiosi si trovano le manette attorno ai polsi, tra loro anche il boss Settimino Mineo. Sono accusati di estorsione, incendio doloso, possesso illegale di armi.
Ancora un altro passo indietro. Nel 2016 una decina di commercianti si ribellano al racket e al pizzo. Per tanto tempo sono stati zitti, hanno subito e pagato; avevano paura. Poi il troppo è troppo. Hanno denunciato gli estorsori. Sono sotto processo. Purtroppo i tempi della giustizia sono lunghi. Il processo cominciato nell’ottobre del 2017 è ancora in corso. Prima di dimenticarcelo, una cosa importante: i commercianti che hanno denunciato i mafiosi per le estorsioni sono dieci del Bangladesh e un tunisino.
I bangladesi a Palermo hanno costituito una loro associazione. Il presidente è il signor Tafazzul Topu. Racconta che la denuncia è scattata dopo il tentato omicidio di un ragazzo di ventun anni, Yusupha Susso, nel 2016.
E’ sera, aprile. Un mafioso, Emanuele Rubino, dopo una lite colpisce Susu alla testa con un colpo di pistola. Il proiettile sfiora il cervello del ragazzo, che va in coma. Rubino viene arrestato. Fino ad allora i commercianti del quartiere avevano subito. Ora decidono che si è passato il limite. Si riuniscono, sono immigrati che provengono da Tunisia, Gambia, Bangladesh. Denunciano i mafiosi. A novembre 2018 la corte d’Appello di Palermo conferma la condanna a dodici anni per Rubino, colpevole di tentato omicidio.
Ohid Shafiul vive a Palermo da una ventina d’anni, sposato, tre figlie, una nata in Italia. Nel 2013 ha aperto un suo minimarket. Ha subito minacce mafiose: “Sono venuti davanti al mio negozio. Gli ho detto che se li rivedo, prendo le misure necessarie”. Non aggiunge altro.
Topu aggiunge: “Se vivi a Ballarò devi fare contenti i mafiosi, altrimenti vengono e ti svaligiano il negozio”. Per questo ancora in tanti pagano e non fiatano. “Quando si scopre che un negoziante ha detto qualcosa contro la mafia, viene derubato. La gente non vuole problemi, per questo non parla”.
Però… Però i commercianti bangladesi si sono riuniti, e in gruppo si sono rivolti alla polizia. Nei confronti di alcuni sono scattate pesanti intimidazioni. C’è chi ha trovato le serrature dei negozi bloccate dalla colla; un chiaro avvertimento. Altri sono stati aggrediti all’interno dei negozi. E però c’è chi resiste. Sumi Aktar è la prima politica bangladese eletta in Sicilia, dal Partito Democratico: “Da stranieri abbiamo già dimostrato il nostro coraggio denunciando la mafia e il pizzo. I commercianti bangladesi hanno contribuito alla crescita di Palermo. Da stranieri ci sentiamo parte di questa città. Per noi Palermo non è una tappa transitoria. E’ casa nostra”.
Qualcuno lo dica al ministro dell’Interno Matteo Salvini. Esiste anche questa realtà.