Dopo i casi di “Jersey Shore” su MTV o di “Mob Wives” su VH1, la polemica che ciclicamente investe serie televisive su italo-americani tacciate di giocare su pregiudizi e stereotipi ha investito in questi giorni “Made in Staten Island”: un dibattito che è giunto fin sulle pagine del New York Times. Il “succo” del programma che ha suscitato tante proteste lo si intuisce già ascoltando lo slogan ripetuto nella pubblicità mandata in onda su MTV: “Bosses aren’t born, they’re ‘Made in Staten Island” (“Boss non si nasce, sono “Made in Staten Island”). Senza contare che la stessa emittente ha definito il nuovo prodotto come “più grintoso e audace” dei precedenti.
Sul suo sito internet, MTV descrive lo show – il cui lancio è atteso lunedì 14 gennaio – con queste parole: “Made in Staten Island è una storia di formazione che segue un gruppo di giovani adulti ribelli e le loro famiglie mentre lottano per rifuggire dalle tentazioni dello stile di vita criminale proprio dell’ambiente in cui sono nati”. E sin dalle prime anticipazioni, migliaia di persone hanno protestato, firmando addirittura una petizione online (al momento in cui scriviamo hanno aderito 7.812 persone) perché il nome del famoso borough italo-americano venisse rimosso dal titolo. “Il ritratto di Staten Island come un pozzo nero di gangster, zucconi e vite difficili sembra essere il punto focale dello sviluppo di MTV show negli ultimi anni”, scrive Joseph Maniscalco, promotore dell’iniziativa. “Il lancio di questo nuovo show ‘Made in Staten Island’ è solo un’altra variazione sul tema. È costruito sulla premessa che i bambini di Staten Island crescono sistematicamente circondati dalla mafia, circostanza che è lontana dalla verità. Semmai, questi bambini stanno crescendo nell’epidemia di oppioidi che sta toccando le vite dei loro amici e dei loro familiari, stanno soffrendo del crollo dei valori tradizionali della famiglia. Queste sono le vere epidemie che colpiscono la nostra gioventù; quelle epidemie che riguardano tutti indiscriminatamente”, prosegue.
Maniscalco ricorda inoltre che “Staten Island ha uno dei più alti redditi pro capite dei cinque distretti, oltre a diversi istituti di istruzione superiore con un’ottima media dei voti di laurea e scuole pubbliche eccellenti dove lavorano insegnanti premurosi”.
Non solo: altro motivo di polemica il fatto che, tra i produttori del programma, figura anche Karen Gravano, star dello show “Mob Wives” nonché figlia di Salvatore Gravano, conosciuto anche come Sammy the Bull, sicario agli ordini di John Gotti, boss della famiglia Gambino, divenuto più tardi informatore del governo.
Tra le file dei critici, lo stesso sindaco di New York Bill de Blasio, la cui madre era figlia di immigrati italiani. De Blasio non ha usato giri di parole nell’accusare il programma di “vendere stereotipi nel tentativo spudorato di fare ascolti”. Anche il consigliere della città Joseph Borelli ha tenuto banco nella polemica, definendo “Made in Staten Island” “imbarazzante”. “Siamo stati sommersi di stereotipi in passato, ma ora stanno diffondendo questa etichetta tra i bambini e glorificando una vita di criminalità”, ha detto Borelli.
Anche l’Italian American One Voice Coalition, che si definisce “un gruppo di difensori della cultura italo-americana in tutta la nazione”, si è unita al coro delle proteste: secondo Andre DiMino, membro del comitato esecutivo dell’associazione, “si tratta solo dell’ennesimo show basato sulla criminalità che denigra gli italo-americani e mette tutti noi in cattiva luce”.