A margine dell’Assemblea Generale dell’Onu la FEPS, Foundation for European Progressive Studies, ha organizzato a New York la conferenza “United for a different migration” per approfondire il lavoro del proprio Gruppo Global Migration sulla necessità di una differente narrazione della migrazione, in senso progressista. La conferenza ha ripreso il tema e i dieci punti guida proposti, ascoltando il presidente del Gruppo Giuliano Amato, ampliando e focalizzando l’attenzione sul “Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare” che sarà adottato formalmente nel vertice dei capi di Stato e di Governo a Marrakech il 10 dicembre prossimo.
Una data che ha un grande significato, ha fatto notare il ministro degli Esteri spagnolo Josep Borrell nella sua relazione di apertura. Settant’anni fa, il 10 dicembre 1948 veniva infatti firmata la Dichiarazione universale dei diritti umani. Da ministro in carica ha evidenziando le problematicità attuali nel continente europeo, con le errate percezioni, le strumentalizzazioni politiche, le divisioni e l’esigenza di un governo delle migrazioni secondo il cammino indicato dal Compact.
Con gli ambasciatori Juan José Gómez Camacho, Mexico, e Jürg Lauber, Svizzera, co-facilitatori della consultazione intergovernativa e della negoziazione sul Global Compact, c’è stato un ricco e istruttivo dialogo sull’iter e sul significato del Global Compact. Ripresi poi da Louise Arbour, la UNSR per la migrazione internazionale. Prestigiosi politici ed esperti da organizzazioni internazionali, società civile, università, think tank, ong, sono intervenuti nei panel che hanno approfondito particolarmente il ruolo delle comunità locali e la centralità delle persone nei movimenti migratori.
Un incontro molto utile, anche se le aspettative, di fronte ad un tema complesso come questo sono sempre molto superiori, alla ricerca di soluzioni e “ricette” che non ci sono, perché vanno costruite giorno dopo giorno.
Il Global Compact sulle migrazioni mi porta a condividere una riflessione sul suo valore, in particolare per l’Italia e l’Europa. Succedendosi con una certa rapidità, i governi italiani di quest’ultimo decennio hanno affrontato il tema dell’immigrazione a singhiozzo, in modo discontinuo. Eppure, su un fenomeno così complesso la politica governativa non può più continuare a tentennare, cambiando direzione ad ogni avvicendamento di Governo. Si tratta di un tema vitale per le nostre società presenti e future che, come avviene per le più rilevanti questioni di politica estera, dovrebbe imporre a tutti di trovare un denominatore comune, che garantisca le legittime differenti convinzioni, priorità e scelte politiche, mantenendole però lungo un comune filo conduttore a vantaggio di tutti, indipendentemente dalle alternanze di governo.
Benché in questa fase la propaganda politica sembri aver preso il sopravvento, favorendo la contrapposizione e spegnendo ogni possibilità di dialogo e approfondimento, rimane pur sempre nei membri del Governo il senso delle istituzioni. Su di esso occorre fare leva per cercare di aprire porte al dialogo.
Il Global Compact è un patto giuridicamente non vincolante ma impegna gli Stati Parte e rappresenta un fondamentale riferimento per delineare una governance dei movimenti migratori. Può divenire quindi il denominatore comune su cui basare le politiche governative e quelle dell’Ue? La risposta dovrebbe essere affermativa, in coerenza con la formale adesione dell’Italia e degli altri Stati europei al patto globale. Sì, il Global Compact può fornire alla politica italiana ed europea lo strumento per superare almeno in parte l’inconciliabilità delle posizioni contrapposte, indicando quel comune denominatore e quel filo conduttore su cui poggiare le decisioni, pur nelle legittime differenti convinzioni, scelte e modalità politiche.