Il ritorno de La Bella e la Bestia. Dove la Bestia è quella che era bella e la Bella è diventata una brutta bestia. La realtà supera la fantasia del nuovo film di Walt Disney: qui parliamo della metamorfosi bestiale del Belpaese. Nemmeno Ovidio, che di Metamorfosi si intendeva, avrebbe potuto concepire un simile degrado umano. Tanto che viene da chiedersi come si potranno mai risanare i conti e modernizzare il Paese con una simile classe politica e dirigenziale.
Non passa settimana che a turno un partito politico occupi la scena teatrale con le sue nefandezze.
San Valentino è passato, ma un Romeo resta. Il Carnevale è finito, ma ai faccendieri politici non si possono togliere le maschere. Per il semplice fatto che non hanno volto. E anche se Gasparri non è Gasparri, Marroni non è Maroni, Renzi non è Renzi, perché nomi di battesimo o consonanti non corrispondono, Bocchino è ancora Bocchino, Verdini è sempre Verdini. In mezzo sta Matteo che rischia di perdere la faccia a causa di un padre che ha già perso la faccia per una brutta faccenda di bancarotta fraudolenta, indagine poi archiviata. Forse Tiziano ha solo millantato credito, avendo un figlio premier. O forse ha cercato di ottenere qualcosa promettendo quello che non poteva dare. Perché non è che il figliolo potesse riscrivere manu militari i bandi d’asta della Consip, società che gestisce gli acquisti centralizzati dello Stato, i cui bandi sono scritti e controllati collegialmente. Infatti l’imprenditore campano Alfredo Romeo, che aveva versato alla Fondazione Big Bang di Matteo Renzi 60 mila euro per la sua campagna elettorale, non ha ottenuto l’appalto delle pulizie dei palazzi del centro storico di Roma, che potrebbe invece esser assegnato all’impresa francese Cofely, prima in graduatoria, forse appoggiata da Denis Verdini. Romeo è stato arrestato con l’accusa di corruzione e ora racconta la sua storia con nomi e cognomi, dove sembra i personaggi gliela abbiano raccontata, nel senso che più che attori appaiono degli improvvisatori e gran ballisti.
L’Italia annega in un mare di balle. E questa faccenda di accordi per ottenere appalti, dove i pagamenti finora sono solo sospettati interpretando delle conversazioni telefoniche, si potrebbe ascrivere al genere “realtà romanzesca”. Gli elementi ci sono tutti: un impresario che ama troppo se stesso, un padre trapoler che è un po’cofel (in dialetto triestino: un intrallazzatore un po’ scemo), un figlio che non è il primo della classe ma è il primo del paese, un amico di famiglia che gestiva un centro estetico di charme ed è diventato esperto di farmaci, un politico sboccato; e comunque tutti parlano troppo al telefonino pensando che lavorano e così si guadagna. Vi risparmio gli intricatissimi particolari di questa vicenda della miseria umana e credo anche economica. Nella quale peraltro viene tirato in ballo pure Denis Verdini, ex banchiere che ha guidato il Credito cooperativo fiorentino per un ventennio. Il giusto capro espiatorio, dato che è stato appena condannato a 9 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, avendo sottratto un sacco di soldi di provvidenze per l’editoria allo Stato. “Ci sono banche che sono fallite e ce ne sono altre che sono state dissanguate – ha commentato Verdini. – Ma l’unico ad andare alla sbarra sono io. Per un istituto in cui nessuno ci ha rimesso nulla”. Stato, a parte.
Sembra che lo Stato non esista finché non appare come persona giuridica coercitiva. Sembra che il presidente Mattarella vada in giro per il folclore italico e che rimanga inascoltato. Oggi però ha detto qualcosa che sarebbe meglio ascoltare: “Non c’è politica senza etica. La democrazia si difende, oltre che con le leggi, con il comportamento”.
Forse basterebbe un solo presidente, ma educato e istruito.