La pace in Sud Sudan sembra essere ancora lontana. Una nuova escalation di violenza ha infatti colpito il paese sotto forma di violente dispute tra i fedeli all’attuale Presidente Salva Kiir e i sostenitori del Vicepresidente Riek Machar. I primi scontri si sono verificati giovedì, in occasione di un incontro durante il quale Kiir e Machar avrebbero dovuto discutere di atti di violenza verificatisi in precedenza, e sono poi proseguiti durante le giornate di venerdì e domenica (sabato, infatti, è stata una giornata di relativa pace che ha permesso lo svolgimento delle celebrazioni per l’indipendenza conquistata dallo Stato il 9 luglio 2011). Se già venerdì sera la stima delle vittime ammontava a circa 150 persone il numero era purtroppo destinato ad aumentare notevolmente. La violenza ha infatti raggiunto l’apice domenica quando spari e detonazioni hanno colpito la capitale Juba, l’aeroporto e la sede di rappresentanza delle Nazioni Unite, situata nella periferia della capitale. Sebbene la dinamica degli scontri non sia ancora stata chiarita al momento si contano più di 270 morti, tra cui 33 civili, un funzionario delle Nazioni Unite e due caschi blu di nazionalità cinese probabilmente colpiti da colpi di arma da fuoco mentre cercavano di frapporsi tra le due fazioni in lotta.
Le ragioni del conflitto che spacca in due il paese risalgono al 2013, quando il Presidente Kiir ha accusato Machar di complottare contro di lui per mettere in atto un colpo di Stato. Da quel momento il giovane paese non ha avuto pace e la guerra civile ha ormai causato 50.000 vittime, 2 milioni di persone sono state evacuate dalle loro abitazioni e quasi 5 milioni hanno sofferto (o soffrono tuttora) per le frequenti carestie nel paese. La situazione è resa ancora più delicata dalle differenze etniche poichè mentre i Dinka, la tribù principale, sono a favore del Presidente Kiir i Nuer sostengono Machar.
La comunità internazionale ha reagito rapidamente ai tragici fatti del weekend. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è espresso sul tema, dopo una riunione straordinaria tenuta domenica sera, con un comunicato stampa in cui chiede la fine immediata dei conflitti da parte di entrambe le fazioni, in modo da permettere alle Nazioni Unite e alle altre organizzazioni umanitarie presenti sul campo di aiutare i civili. Il Consiglio si è inoltre dichiarato preoccupato per la mancanza di collaborazione riscontrata nei vari fronti con i quali si stanno negoziando gli accordi di pace e chiede quindi ai leader del paese di dimostrarsi capaci, proprio durante i festeggiamenti per l’indipendenza, di saper creare una situazione pacifica e sicura nel loro paese.

In seguito, durante una conferenza stampa indetta appositamente per discutere la difficile situazione del Sudan del Sud il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha utilizzato parole molto forti per accusare il governo di Kiir e Machar, espressamente definito come “fallito”, dichiarando: “Ancora una volta, i leader del Sudan del Sud non hanno ascoltato il loro popolo. Raramente un paese ha infranto tante promesse così velocemente”. Il Segretario ha proseguito invitando il Presidente ed il Vicepresidente a fare tutto ciò che è in loro potere per calmare le ostilità immediatamente, ordinando il ritiro delle rispettive truppe. Ban Ki- moon ha definito “oltraggioso” il rinnovo delle violenze ed ha assicurato che esse non passeranno inosservate ma saranno presto punite poichè, tra l’altro, gli atti compiuti contro civili e ufficiali ONU hanno tutti i requisiti per essere classificati come crimini di guerra. Il Segretario Generale dell’ONU ha quindi rivolto tre importanti richieste al Consiglio di Sicurezza: l’imposizione contro il Sudan del Sud di un embargo sulle armi; la messa in atto di sanzioni specifiche per coloro che bloccano le negoziazioni dell’Accordo per la risoluzione dei conflitti in Sud Sudan e il rafforzamento della missione ONU nel paese (UNMISS), che al momento ha difficoltà ad operare. Il Segretario ha inoltre invitato tutti i paesi partecipanti alla Missione a collaborare perché in questo momento “ogni ritiro manderebbe un messaggio fortemente negativo, nel Sudan del Sud e in tutto il mondo”.
Varie anche le reazioni da parte dei rappresentanti nazionali. Francois De Lattre, ambasciatore della Francia alle Nazioni Unite, ha affermato che “gli ultimi fatti verificatisi a Juba non rappresentano un episodio isolato, ma sono la prova di una mancanza di impegno da parte dei politici del paese” che dovrebbero riacquistare il controllo sulle loro truppe. L’ambasciata americana nel Sudan del Sud ha invece ordinato il rimpatrio della maggioranza dei suoi ufficiali nel paese.
Al momento il Sudan del Sud si trova in uno stato di emergenza: i suoi fondi sono quasi esauriti a causa del crollo del prezzo del petrolio (la principale fonte di entrate del paese), la popolazione civile è sull’orlo della disperazione e stupri e crimini da parte dell’esercito sono ormai all’ordine del giorno da lungo tempo. Le principali compagnie aeree che operano nella zona hanno sospeso la tratta per motivi di sicurezza e anche sulle strade vi sono continui controlli. Nonostante il Presidente Kiir abbia ordinato all’esercito del paese (Sudan People’s Liberation Army, SPLA) di cessare il fuoco le ostilità proseguono, espandendosi anche oltre la capitale Juba. I caschi blu stanno facendo tutto il possibile per salvaguardare la situazione ma le possibilità di movimento al di fuori della sede operativa ONU sono molto limitate.