Dopo otto anni di iperliberismo sotto il sindaco conservatore Boris Johnson, la notizia del giorno dovrebbe essere che a Londra ha vinto un laburista, sia pure moderato, e che il suo successo rafforza Jeremy Corbyn, ossia la sinistra del partito, indebolendo l’ala blairiana, interessata a far fare al Labour la fine del PD. Invece i giornali di tutto il mondo, e in particolare quelli italiani, hanno messo solo in evidenza che si tratta di un musulmano e che è favorevole al matrimonio gay. Un po’ come nel 2008 annunciarono e celebrano l’elezione di un nero a presidente degli Stati Uniti, non quella di un democratico che (allora) prometteva assistenza sanitaria per tutti e la fine dell’occupazione dell’Afghanistan e dell’Iraq.
Che agli organi del neocapitalismo questo tipo di narrazioni piaccia è ovvio: per i ricchi e le loro multinazionali è davvero il migliore dei mondi possibili quello in cui l’alternativa allo sfruttamento dei lavoratori, al saccheggio dell’ambiente e allo smantellamento dei diritti politici e sindacali (o della Costituzione, come in Italia), è soltanto l’affermazione di diritti civili di nicchia. Ma la sinistra? È allarmante che anch’essa si accontenti. Precarizzano il lavoro? Tagliano le pensioni e il welfare? Privatizzano i servizi pubblici? Fanno passare leggi elettorali truffa? Consentono alle grandi catene di strangolare il piccolo commercio? Non importa, le anime belle e i radical chic si consolano con una donna alla Casa Bianca (e non importa che sia sponsorizzata da Goldman Sachs e che in politica estera sia un falco) e con un gay a capo della Apple (e non importa che si tratti di un miliardario e che la sua corporation evada legalmente cifre colossali). O con un musulmano a Londra, come se essere musulmani fosse in sé un valore e non fossero musulmani anche i macellai dell’ISIS o i loro protettori sauditi. Senza accorgersi che ai poteri forti della finanza globale va benissimo che si parli di eguaglianza, a patto che non si tratti di eguaglianza economica: e non solo perché l’unica cosa a cui proprio non vogliono rinunciare sono i soldi, ma anche perché i numerosi razzisti, omofobi e sessisti che ci sono fra loro sanno perfettamente che senza eguaglianza economica le altre eguaglianze restano puramente formali, chiacchiere da talk show o da circoli di accademici politicamente corretti.
Nell’ambito di un programma di sinistra i diritti civili rappresentano un momento essenziale del processo di emancipazione di tutto il popolo. Se però vengono isolati, se vengono staccati dalle rivendicazioni collettive e da un movimento politico unitario per diventare obiettivi di nicchia, allora fanno il gioco del liberismo, che si rafforza alimentando guerre non solo fra miserabili (provocate consentendo migrazioni incontrollate di massa) ma anche all’interno della classe media, fra razze, etnie, culture, fedi religiose, orientamenti sessuali, clan e gruppi di qualsiasi tipo purché non organizzati in partito, purché incapaci di solidarietà.
Invece Sadiq Khan non ha vinto perché musulmano o per il suo sostegno alla legge sulle nozze fra omosessuali – che lo ha reso oggetto di una fatwa da parte dell’immancabile imam integralista. Khan ha vinto perché i londinesi sono stufi dello strapotere delle multinazionali e della continua erosione della qualità della vita per arricchire una minuscola frazione della popolazione. Khan ha vinto perché si propone di risolvere la crisi degli alloggi provocata dalle liberalizzazioni di Johnson, che hanno consentito ai plutocrati di mezzo mondo di comprarsi appartamenti al centro, come investimento o per rifugiarcisi quando i loro popoli si incazzassero per le loro ruberie. Khan ha vinto anche perché è un moderato, un socialdemocratico, e Londra è troppo benestante per svolte più radicali; ma è un socialdemocratico, non un liberista alla Renzi.