Rientrato dalla breve e rischiosa campagna d’Africa, Bergoglio si è ritrovato sul tavolo le questioni del governo della Chiesa che lo hanno tormentato negli ultimi mesi, sino a lamentarsene in pubblico e avvertire che terrà comunque fede al progetto riformatore. Nel ragionare sul pontificato del papa argentino e sui condizionamenti ai quali si trova sottoposto dall’interno, i commentatori tendono a dimenticare che ogni analisi della presente situazione dovrebbe partire dai perché delle dimissioni di Benedetto XVI. A questo proposito, va constatato che Bergoglio non manca una sola occasione per manifestare a Ratzinger stima e affetto, fin quasi a dare l’impressione di circondare quel pastore fragile (e sotto attacco come esponente di curia con Wojtyla) con la propria energia fisica e forza interiore.
Il papa emerito fu eletto in continuità con il regno di Giovanni Paolo II, ma di lui non seppe raccogliere lo spirito di combattività e militanza, né la capacità di ergersi con autorità, persino in vecchiaia. Per quanto controverso, il pontificato del polacco si era raccomandato all’attenzione della storia; quello del tedesco fu immediatamente fragilizzato dall’incapacità di imporsi ai cattivi comportamenti e ai contrasti che, in curia ma non solo, avevano trovato, nella lunga malattia di Wojtyla, modo di sedimentare, per esplodere alla morte. Debole e fiaccato, Ratzinger consegnò al successore un quadro ulteriormente peggiorato.
Francesco ha sicuramente carisma e capacità per bonificare la “vigna” che gli è stata affidata, ma ha lui stesso una debolezza: gli avversari sanno che il suo pontificato non sarà lungo (lo ha riconosciuto lo stesso papa) e sperano, come ha spudoratamente detto a voce alta in treno di prima classe il vescovo di Ferrara, Luigi Negri, esponente di Comunione e Liberazione, che la Madonna, o chi per lei, gli faccia fare la fine che a suo tempo fece papa Luciani.
L’istituzione Chiesa si autogoverna attraverso un regime di assolutismo benevolo che passa attraverso la monarchia non ereditaria del papa, uomo dai poteri così imponenti da detenere la facoltà di caratterizzare in chiave personale un pontificato. Sotto l’aspetto da parroco di paese, alla don Camillo, Bergoglio mostra di usare con energia la sua potestà, come fece Gesù che scacciò i mercanti dal tempio e disse che le sue perle non erano per i porci. Dal Vangelo, Francesco sa di essere “pecora in mezzo ai lupi” e che per portare a buon fine la missione risanatrice deve avere alla Santa Sede alleati “astuti come i serpenti e puri come le colombe”. Il Vaticano ha ospiti sgradevoli, come da sempre afferma l’esorcista ufficiale della diocesi di Roma, Gabriele Amorth, che con logica stringente, si chiede: “se fossi Belzebù dove cercherei di far danni, se non in Vaticano?”.
Certo che la faccenda Vatileaks, sulla quale Bergoglio ha parlato con chiarezza ai giornalisti in aereo rientrando dall’Africa, getta altro combustibile nel fuoco col quale deve fare i conti la Chiesa. Si tratta di uno scandalo tutto interno all’attuale pontificato, che coinvolge persone alle quali il papa aveva dato immeritata fiducia. Le loro dichiarazioni e gli atti processuali saranno utilizzati dalle fazioni che da anni ostacolano il lavoro dei papi che si sono succeduti. La “sporcizia” evocata da Ratzinger all’inizio del suo pontificato, si è andata accumulando e le azioni di rimozione finalmente messe in atto generano, in chi vi ha prosperato, azioni di difesa. Diversamente dal passato, non vi sono solo mugugni o manovre sotterranee: l’opposizione si tramuta in trama, convegno colto e paludato, fuga di informazioni, accuse di comunismo, messaggi su malattia e dimissioni papali. Né si dimentichi che Francesco è permanentemente nel mirino del terrorismo islamista.