New York la conosce già. Un anno fa Irene Maiorino ci è arrivata per presentare la quarta stagione de L’amica geniale, la serie tratta dalla quadrilogia di Elena Ferrante, al MoMA, nell’ambito del Tribeca Film Festival. Dopo la proiezione, è salita su un treno e ha raggiunto da sola Coney Island. In quella periferia d’America, qualcosa l’ha riportata a Napoli. “Non i palazzi”, racconta, “ma l’atmosfera. Mi ha ricordato il Rione Luzzatti, il quartiere popolare dove si svolge gran parte della storia. C’era la stessa tensione, lo stesso senso di cose rimaste sospese”.
Ora Maiorino torna nella stessa città per un’occasione diversa: l’8 maggio 2025, alle 18:30, sarà protagonista dell’incontro Essere Lila. Women’s Voices Between Rebellion and Silence in Southern Italy, alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU. In dialogo con la giornalista Angela Vitaliano, affronterà i temi della libertà femminile, della ribellione e del silenzio, a partire proprio da quel personaggio che ha abitato a lungo il suo corpo e la sua voce: Lila Cerullo.

Lila è un personaggio che ti cammina accanto anche dopo l’ultima scena. Per Maiorino, è diventata una lente attraverso cui riguardare il concetto stesso di indipendenza. “Non ha cambiato la mia idea di libertà femminile”, racconta. “L’ha rafforzata. Lila si autodetermina in un tempo — il dopoguerra napoletano — in cui farlo voleva dire quasi scomparire. Preferisce la miseria alla violenza. Si affida solo a sé stessa”.
C’è una lucidità feroce, secondo l’attrice, in questa donna che sceglie la coerenza alla sopravvivenza. “Ferrante la scrive così chiara”, dice, “così definita, più di qualsiasi altro personaggio femminile della saga. E proprio quella chiarezza è la sua condanna: chi ha un carattere così ha una vita più difficile. Soprattutto se nasce donna, e al Sud”.

Ma interpretarla non è stato questione di forza, quanto di sottrazione. “Il vero lavoro è stato non mostrarla. Non imitarla. Lila è tutta in quello che trattiene, non in ciò che esibisce. Ho dovuto imparare a togliere: niente pose, nessun effetto. Restare fedele alla sua tensione senza trasformarla in artificio”. Un processo che ha lasciato tracce anche fuori dal set. “Quando cresci impari ad adattarti. E la stanchezza ti porta a semplificare. Da giovani si è più ribelli. Lavorare su Lila è stato tornare lì, in quel punto primitivo in cui non cerchi approvazione. Un ritorno a me stessa, più autentico”.
Un momento le è rimasto addosso più degli altri: la scena della smarginatura. Tecnicamente complicata – macchina da presa, comparse, il buio. Ma il punto non era quello. “Smarginare non è perdere il controllo. È il contrario. È vedere troppo. Lila stringe gli occhi perché i confini si dissolvono. Dice a Elena: ‘Quello che accade fuori, a me succede sempre dentro’. Un momento potentissimo”.
Prima di L’amica geniale, Maiorino ha recitato nella serie 1994 — “bionda, irriconoscibile”, come dice lei — e in Gomorra. Ha lavorato anche in Il commissario Ricciardi e in alcuni film indipendenti italiani.
L’incontro di New York non gira solo intorno alla serie o ai libri della Ferrante. È, prima di tutto, una riflessione su cosa significhi essere donna oggi — anche, ma non solo, nel mondo dello spettacolo. Maiorino non si nasconde dietro facili ottimismi. “Le resistenze sono ancora lì. Nei ruoli, nello sguardo degli altri. Oggi ho più voce, sì. Ma il mio modo di pensare è lo stesso. Dire la verità non basta per essere ascoltati. Spesso chi tocca nervi scoperti viene allontanato”.
E se Lila oggi fosse reale? Non sarebbe su un palco o in televisione. “Sarebbe nei quartieri, tra le madri, dentro un’azione collettiva”. Non come un personaggio da celebrare, ma come una presenza viva, parte di un contesto, dentro le cose.