“Ucciso perché cercava la verità”. Il quotidiano L’Ora nel 1972 riportava la morte di Giovanni Spampinato, il corrispondente di Ragusa. Come lui, l’Italia riconosce altri otto giornalisti che, mentre indagavano i responsabili della mafia, sono stati assassinati, fatti esplodere, fucilati, chi davanti alla propria casa di ritorno da una giornata di lavoro, chi mentre era in viaggio. L’Istituto Italiano di Cultura di New York ha accolto una mostra sui “testimoni della verità”, a cura dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, in collaborazione con l’Unione Siciliana Emigrati e Famiglie (USEF).
Il direttore dell’IIC-NY, Fabio Finotti, ha inaugurato la serata sottolineando che la mostra non solo celebra il lavoro dei giornalisti in Sicilia, ma ha uno sguardo più ampio per ricordare tutti i reporter che muoiono nei conflitti e nel mondo solo perché svolgono la propria professione. All’inaugurazione, presente anche l’Onorevole Christian Di Sanzo, deputato eletto nel Collegio Nord e Centro America, che ha dichiarato: “I progetti in corso qui all’Istituto danno un’immagine della cultura italiana più ampia, che non riguarda solo la letteratura, ma anche, per esempio, la transizione ecologica. E oggi si aggiunge questa esposizione aggiunge un altro importante tassello: queste persone abbiano perso la vita per darci delle informazioni. Un diritto fondamentale”.
Il Console Generale d’Italia a New York, Fabrizio Di Michele, è intervenuto ripensando alla sua infanzia quando la mafia non era ancora stata riconosciuta: “Sono cresciuto nella Palermo degli anni ’80. Se ne cominciava a parlare grazie al maxiprocesso, ma non seriamente. È stato con la morte di Borsellino che è cambiato tutto. E oggi la mafia è un’altra cosa. Questo passaggio ci deve far riflettere su quanto coraggio ci volesse per affrontarla all’epoca, per i magistrati, i giornalisti, che erano isolati dalla comunità dei media e dei giornali stessi. La ricerca della verità è l’unico modo per cercare la democrazia”.
“Siamo riusciti a superare un periodo in cui parlare della mafia era vietato – ha dichiarato il presidente dell’USEF e senatore Angelo Lauricella. – È un passaggio molto importante, conquistato con il sangue, la vita. Le persone hanno preso coscienza grazie ai magistrati, ai giornalisti, alle forze dell’ordine che sono stati uccisi. Anche se oggi è diversa, perché la mafia come la conoscevamo è morta con Matteo Messina Denaro, è rimasta il parassita che succhia la società, con la tendenza a non lavorare sui cittadini. Noi, invece, dobbiamo dare un segnale agli imprenditori che possano investire in queste terre”.
Poi si è passati alla presentazione della mostra. Dieci pannelli in totale, di cui uno introduttivo e gli altri nove dedicati alle vite dei giornalisti: Cosimo Cristina (trovato morto il 5 maggio 1960 in una galleria ferroviaria nel tratto Termini Imerese-Trabia), Mauro De Mauro (rapito il 16 settembre 1970 a Palermo mentre stava rientrando a casa), Giovanni Spampinato (assassinato il 27 ottobre 1972 a Ragusa da Roberto Campria), Mario Francese (ucciso il 26 gennaio a Palermo), Peppino Impastato (ucciso con una carica di tritolo il 9 maggio 1978 a Cinisi), Giuseppe Fava (morto il 5 gennaio 1984 a Catania), Mauro Rostagno (trucidato il 26 settembre nella sua auto a Valderice), Beppe Alfano (Ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto l’8 gennaio 1993) e Maria Grazia Cutuli.
Il presidente dell’Odg Sicilia, Roberto Gueli, si è soffermato su Cutuli in particolare, ricordando che è stata uccisa sulla strada tra Jalalabad e Kabul in Afghanistan il 19 novembre 2001, in seguito all’attentato alle Torri Gemelle di qualche mese prima e di cui si è celebrato l’anniversario proprio qualche giorno fa. “Raccontavano storie, intervistavano le fonti e le confrontavano, ma erano scomodi. Queste figure devono servire ai giovani come esempio”.
Il presidente della Commissione Regionale Antimafia all’Ars Onorevole Antonello Cracolici ha rimarcato: “Il nostro 11 settembre è una costellazione di date. Ogni giorno segna un delitto eccellente che ha costretto la società siciliana, ma anche quella italiana più in generale, ad aprire gli occhi sul fatto che la mafia non era solo in attività locale. C’è bisogno, allora come adesso, di più uomini che leghino il proprio impegno al lavoro. Cosa nostra ha paura a recarsi dagli imprenditori che non hanno paura di denunciare il pizzo”.
Infine, il curatore della mostra e vicepresidente dell’Odg Sicilia, Salvatore Li Castri, ha concluso: “In Sicilia, l’informazione ha avuto un ruolo fondamentale nella ricostruzione della democrazia. Ricordo Spampinato, l’amicizia che ci legava, i primi passi che muovevamo in questa professione. Ed è stato lui a ispirarmi per il titolo”.
Dopo essere già stata al Parlamento europeo a Strasburgo, la mostra verrà allestita a quello di Monaco di Baviera.