“L’italiano è un po’ newyorkese, ma soprattutto napoletano”. Con questa frase di Erri De Luca si potrebbe riassumere l’incontro con l’associazione “081 Stand for Naples ” che, al Consolato d’Italia su Park Avenue, ha promosso “Neapolitan problem solving skills” attraverso la testimonianza di alcune eccellenze napoletane trasferitesi stabilmente nella Grande Mela da più di vent’anni. “Sono coloro che riescono sempre a cavarsela, sfruttando la loro origine, – li ha introdotti il Console Generale Fabrizio Di Michele. – In tutto il mondo, riconoscono la loro attitudine, la creatività, il modo di vestirsi, la musica, il cibo, il marchio di fabbrica”.
“081 Stand for Naples” è un’organizzazione no-profit nata dal 2022 dall’idea di un gruppo di giovani, under 35, neolaureati, tutti originari di Napoli, ma espatriati, che avevano l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sociale ed economico del capoluogo campano, affinché i suoi talenti a missione compiuta potessero rientrare in Italia. Al momento, come raccontano i testimoni, – moderati dalla giornalista Francesca di Matteo – chi parte decide di non tornare perché la città non è in grado di rispondere alle necessità.

Il professor Antonio Bernardo, direttore del laboratorio di ricerca alla Cornell University; Riccardo Forlenza, Manager di IBM; Raffaella Rossano Naldi, artista vincitrice del “Premio New York”; Nunzio Castaldo, CEO e co-fondatore di PaneBianco Wines; e Rosario Procino, co-fondatore di Ribalta Hospitality Group. Si sono stabiliti a New York quando erano ancora giovani studenti e hanno costruito poi la loro carriera e una famiglia senza mai dimenticare la terra d’origine, ma non sono disposti a tornare.
“Durante il periodo di Mani Pulite, che scosse tutta l’Italia, ho davvero considerato di rientrare – ha confessato Forlenza. – Era un momento entusiasmante, c’erano persone straordinarie che facevano grandi cose e volevo farne parte anche io. Ma non ce l’ho fatta a rincunciare alla mia vita qui a New York. Ho poi avuto un’ulteriore occasione: prima del Covid, andai a Milano per lavoro e mi chiesero di rimanere. Anche quella volta ho rifiutato”.

Al racconto si è unito anche Bernardo: “Io sono figlio di Napoli e credo che ognuno di noi abbia il desiderio di tornare prima o poi. Ma valutando vantaggi e svantaggi, ho sempre deciso che non è il caso. Lavoro nella sanità e continuo a trovare inconcepibile che debbano esserci preoccupazioni nel caso in cui capiti qualcosa di grave e, se ti trovi a Napoli, non ci sono le infrastrutture. Vengono costruiti interi reparti da zero senza implementare quelli già esistenti. E poi esistono sprechi enormi. Se rientrassi in Italia, non avrei le stesse possibilità che ho qua”.

“Ci penso spesso – ha aggiunto Procino, – ma per gli imprenditori non è facile lasciare tutto mentre lavori. È ancora molto forte in me il sogno dell’emigrante: trascorrere sei mesi nel mio Paese d’origine e sei mesi in quello d’espatrio. Napoli è la nostra mamma e quel cordone ombelicale non si è mai staccato”.
Rossano è, invece, riuscita a realizzarlo, facendo ponte fra Napoli e New York, contaminandosi dei due luoghi tanto distanti, ma allo stesso tempo vicini. Da entrambi i mondi seppure complessi ritiene sia stato possibile trarre grande ispirazione. “Mi piace pensare a città collegate, non guardadole in maniera dicotomica. Siamo tutti interconnessi con gli altri e Napoli ne è l’esempio: è un porto e ha avuto varie culture”. Le piace vedersi come un veicolo, uno spazio intermedio fra le due realtà, una straniera che crea una relazione e non una separazione.
Castaldo, dopo aver riflettuto un istante, ha commentato: “Non è così facile tornare in un luogo che, seppure amato in modo viscerale, non permette di esprimerti. Mi sento comunque un privilegiato per ragioni familiari almeno un mese all’anno ritorno in Campania dove ho una casa. Nonostante non sia possibile spostare tutto quello che ho costruito qua a Napoli rimangono le mie abitudini a cui non voglio assolutamente rinunciare”.
Tutti concordano che napoletani si rimane per tutta la vita, anche se possono essere assorbiti gli usi e costumi di un’altra nazione. C’è chi ha avuto difficoltà a abituarsi alla nuova realtà, chi nota ancora differenze enormi con gli americani che rispetto alla propria comunità d’origine risultano sicuramente più liberi, ma meno passionali.