Ci sono voluti anni alla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro per svolgere le indagini. Il caso che si erano trovati sottomano non era uno dei soliti che coinvolgono membri più o meno noti dell’Ndrangheta.
Stavolta c’era di più, perché l’organizzazione criminale calabrese, di cui oggi sono stati arrestati 18 affiliati per associazione mafiosa, in questo disegno si era spinta fino a New York.
A Manhattan, per la precisione, dove l’Ndrangheta faceva arrivare cocaina, hashish e marijuana che poi vendeva in città. Un giro che includeva anche la detenzione illegale di armi e munizioni.
Il modus operandi lo avevano imparato in Italia, dove vigevano regole ben consolidate, provate a lungo e affinate con il tempo. Era quasi impossibile scoprirli, perché dissimulavano la loro attività criminale con pratiche commerciali apparentemente normali e con l’uso di un vocabolario strategico insegnato alle vittime per segnalare la disponibilità al pagamento della mazzetta.
Si parlava infatti di “cornetti”, per indicare i soldi pronti. Uno schema tipico dell’attività mafiosa che in passato, come raccontò Paolo Borsellino nell’ultima intervista prima di morire nell’attentato di Via D’Amelio, utilizzava il termine “cavallo” per riferirsi a partite di droga.
Intercettando le comunicazioni, la polizia arrivò un giorno a fermare l’auto su cui viaggiavano i sospetti che avevano appena ritirato i “cornetti”, trovando 2.000 euro in contanti. I ricavi venivano accumulati in una cassa comune gestita dal capo famiglia, nella logica della spartizione dei proventi illeciti da dividere in base a precisi accordi e sulla base dello spessore criminale dei destinatari.
C’erano poi i luoghi dello spaccio, mimetizzati e identificabili solo attraverso la disposizione di specifici segnali disposti nelle immediate vicinanze. Lì, gli ndranghetisti nascondevano grandi quantità di narcotico. Avevano poi “un numero indeterminato” di armi da fuoco, pistole e fucili: una scorta senza fine utile per qualsiasi tipo di attività criminale la cosca volesse organizzare.
Questa mattina è finalmente arrivato l’arresto, dopo 33 mesi di lavori partiti grazie all’input informativo del Federal Bureau of Investigation di New York e svolta dai poliziotti del Servizio Centrale Operativo, oltre che delle Squadre Mobili di Crotone e Catanzaro.
In mezzo ci sono state anche l’FBI e la Polizia di Stato Italiana, che ha svolto diverse perquisizioni a carico di soggetti indagati in un procedimento penale collegato. Tutto per accertare, senza lasciare più alcun dubbio, la pressione estorsiva esercitata dai referenti della cosca contro realtà imprenditoriali locali, nonché l’attivismo degli indagati nel settore del traffico e della distribuzione di sostanze stupefacenti e l’ampia disponibilità di armi da parte dell’organizzazione.
L’associazione mafiosa a New York lavorava grazie a un gruppo composto da italoamericani contro cui i commercianti, stanchi delle continue estorsione, a un certo punto si sono scagliati.