È arrivato alla dogana degli Stati Uniti in sordina, senza quasi che nessuno se ne accorgesse. Pesa 1.033 grammi, poco più di un chilo, ed è una rarità. I tartufi bianchi di queste dimensioni, in anni di siccità come il 2022, sono circa l’1% dei già pochi che vengono raccolti.
Un esperto come Giuseppe Bruno, chef del ristorante Sistina, quando l’ha scoperto non se lo è lasciato scappare. È il più grande arrivato quest’anno negli Stati Uniti.
Lo conserva con una cura maniacale: in frigorifero, dentro una cassetta di legno che assorbe il freddo, avvolto in un doppio strato di tovaglioli cambiati due volte al giorno. Non sbaglia a trattarlo come un gioiello: se lo è aggiudicato per 25.000 dollari.
Il profumo è incredibile. Lo si sente arrivare da lontano, mentre si avvicina al tavolo tenendolo ancora coperto con la stoffa. Quando lo mostra ne è orgoglioso e sa già come andrà a servirlo.
“C’è poco da inventare – racconta chef Bruno – le cose fatte bene bisogna lasciarle così come sono nate. Noi lo mettiamo sui tagliolini classici: la ricetta è 30 uova per un chilo di farina. Il tartufo poi gli viene affettato sopra. Bisogna trattarlo con un attrezzo nuovo ed essere estremamente delicati: vietato premere troppo, proprio come quando ci si fa la barba. Il tartufo bianco non si cucina e quindi è importante che le fette siano sottili, quasi trasparenti, così che a contatto con il calore della pasta possano rilasciare tutti i loro profumi e il sapore inconfondibile”.

Non solo pasta, però, tra i piatti che ben si sposano con questa prelibatezza. “La sua morte è l’uovo – continua – ma sta bene anche con le patate. Ad esempio con un bel piatto di gnocchi. Alcune cucine lo abbinano con il carpaccio, ma io non sono d’accordo. Ha un sapore troppo forte e sopratutto è freddo e dunque non esalta il prodotto”.
Tra i tavoli di Sistina, circondati alle pareti da una ricchissima collezione di quadri, vengono serviti su ogni piatto di pasta circa 10 grammi di tartufo. “Mentre lo affetti la mano deve essere morbida, come se stessi suonando il violino”.
Morbida come la terra piemontese dove il prodotto nasce. Lo sa bene Nunzia di Nardo, che con la sua Nunzia Truffle, società creata insieme al marito Giuseppe Varrati, ha portato nelle mani di Giuseppe Bruno il tesoretto da oltre un chilo.
“È uno dei pezzi più grandi trovati nella stagione – spiega – totalmente integro e freschissimo. È partito il giorno dopo essere stato raccolto al confine tra Piemonte ed Emilia Romagna”.

Nunzia e il marito, rimasto in Italia per occuparsi dell’acquisto dei tartufi direttamente dalle mani degli cavatori, sono infatti attentissimi all’autenticità. “Importiamo solo tartufi certificati, veri, italiani, tracciando l’origine di tutti quelli che vendiamo. Con noi vengono sottoposti ad analisi di laboratorio, al lavaggio a mano, all’ispezione sanitaria da parte di un biologo certificato, all’imballaggio accurato e alla verifica finale da parte della Dogana e del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti”.
Il 2022 è stato un anno difficile per chi nella vita è votato ai tartufi. “La raccolta per ora è andata male – continua Nunzia – non c’è stata una grande qualità e nemmeno chissà quale quantità”.
Per questo l’esemplare arrivato al 24 East sull’81ª strada nella cucina di Sistina è così ammirato. “Questi pezzi hanno un valore a sè – racconta chef Bruno, che di tartufi in quarant’anni di carriera ne ha visti tanti – non seguono gli andamenti del mercato”. Sono diamanti dell’alta cucina.
E in effetti l’aroma è così intenso da attirare l’attenzione dei presenti. “Con prodotti del genere non servono scorciatoie per far sentire ai clienti il gusto”. Il riferimento è all’olio di tartufo, creato con scarti o sostanze artificiali e usato per nascondere l’assenza di sapore della materia prima.
“Se il prodotto viene dall’est Europa non sa di niente”, spiega lo chef, perché la particolarità di quello di Alba è la terra in cui cresce, unica nel suo genere per composizione chimica e condizioni climatiche alle quali è sottoposta. Eppure spesso tartufi stranieri vengono spacciati per italiani e venduti come tali.
Da Sistina, invece, l’Italia è certificata e il tartufo bianco con lei. L’unica opera d’arte della sala che i clienti ritrovano nel piatto.