“Tutto è cominciato con un sogno. Pier Paolo vivo, bello, giovane, che mi diceva voglio fare un film”.
Si parla di Pier Paolo Pasolini all’Istituto di Cultura di New York e del libro che Dacia Maraini gli ha dedicato, “Caro Pier Paolo”, edito da Neri Pozza. A cento anni dalla nascita e quasi 50 dalla sua morte, Pasolini rimane un autore molto amato, anche dai più giovani, per la vita e scrittura fuori dagli schemi, la forza delle sue idee controcorrente, in netto e contrastato anticipo sui tempi.
Quello che emerge dal libro di Dacia Maraini è il Pasolini intimo, l’amico carissimo con cui partire alla scoperta del cuore dell’Africa, con cui collaborare intensamente ad una sceneggiatura, “Il fiore delle Mille e una notte” del ’74, con cui condividere “silenzi gravidi”, i silenzi pieni di pensieri di Paolini, e parole sincere.
L’incontro all’Istituto di Cultura di New York è parte del tour della scrittrice negli Stati Uniti che terminerà il 3 novembre. Dopo Los Angeles, San Francisco, la Chapman University dove ha ricevuto un Honorary Degree e la Stanford University, Dacia Maraini è arrivata sulla East Coast per due incontri a New York, e proseguire verso il Mount Holyoke College, dove sarà il 27 Ottobre, alla University of Rhode Island il 28 Ottobre, alla Harvard University il 31 Ottobre, al Wellesley College il 1 Novembre e alla Stony Brook University il 2 e 3 Novembre.
“Nel mio sogno Pasolini è il giovane cinquantenne che conoscevo – spiega – arriva e mi dice che vuole riprendere a fare cinema. Ma i suoi tecnici insistono: Dacia digli che è morto e non può lavorare. Io provo a spiegarglielo, ma Pier Paolo mi risponde, con il suo bell’accento friulano: lo so che sono morto, questa morte mi ha fatto perdere anni di lavoro, ma ora torno in vita e voglio ricominciare a fare film… Mi è venuta così l’idea del libro. Non credo nei fantasmi, ma credo nella relazione fra vivi e morti, grazie alla memoria. Nella nostra società siamo scoraggiati dall’usare la memoria, a cosa serve se siamo finalizzati solo all’acquisto?, ma, forse per retaggi della mia infanzia in Giappone dove i morti sono presenze benefiche cui si offre cibo e si chiedono consigli, io mantengo un rapporto con loro e Pierpaolo vive, ancora, nei miei ricordi.”
Ricordi che la portano inevitabilmente in Africa dove Pasolini andava alla ricerca della purezza assoluta. “Cercava una popolazione autentica, non corrotta, all’inizio l’ha cercata nel paese della madre a Casarse in Friuli, ma è rimasto deluso, allora si è diretto verso il sottoproletariato romano, e su loro ha scritto due libri, “Ragazzi di vita” (1955) e “Una vita violenta” (1959), ma anche lì non ha trovato la purezza che cercava e a quel punto si è diretto in Africa. Andavamo nei villaggi più sperduti, evitando le rotte turistiche. In uno, sotto un baobab, trovammo un morto. Lo stregone lo interrogava strattonandolo: chi è stato a ucciderti? È stato lui? Se la testa cadeva a destra, voleva dire no, se cadeva a sinistra, sì. In un altro alla fine di una lunga giornata avevamo fame e non c’era niente da mangiare, uno degli abitanti ci ha detto che ci avrebbe preparato qualcosa e dopo un po’ è tornato con una ciotola di riso. Dentro c’era un nugolo di mosche morte…. io schifata non volevo mangiarlo, ma lui ha detto: no, lo ha preparato per noi, è tutto quello che ha, va rispettato”

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“Ha tolto le mosche e se lo è mangiato. Pier Paolo era una persona sensibile, dolcissima, delicata. Legatissimo alla madre. Una sera in Congo, dopo duecento chilometri di pista, arrivammo distrutti nel rifugio per soldati dove avremmo dormito. Lui voleva telefonare alla madre, ma il telefono non c’era. Fece altri cinquanta chilometri pur di sentirla e sapere come stava, aveva un gran mal di testa e a Pier Paolo venne mal di testa e gli durò due giorni. Per simpatia con la madre.”
In Africa Pasolini ha cercato di realizzare un film ispirato all’Orestiade di Eschilo, ha girato Tanzania, Tanganika e Uganda, ha trovato gli interpreti, ma mentre lavorava gli è arrivata una lettera dei produttori che gli hanno comunicato che il pubblico italiano non avrebbe gradito un film con attori neri e che quindi interrompesse il lavoro. Lui del girato di preparazione ha fatto comunque un documentario: “Appunti per un’Orestiade africana”. Che la Rai, che lo aveva prodotto, ha mandato in onda solo dopo la morte violenta dello scrittore. Una morte su cui a cinquant’anni di distanza, non è stata ancora fatta del tutto chiarezza.
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