Come tutte le città mito, New York regala una sensazione apparentemente contraddittoria: da un lato l’idea che sia conosciuta anche da chi non c’è mai stato, da un altro la sensazione che ci sia qualcosa che non possa mai essere compreso e conquistato del tutto.
Questo secondo elemento è legato strettamente alla sua energia unica al mondo e a una dimensione di eccitazione e potenza che gli scrittori immortalano quando ne descrivono la realtà meno luminosa, perché insieme alla libertà, un elemento centrale della sua essenza è l’idea di sfida che porta con sé i risultati di sconfitta e vittoria. Tutto questo è possibile scoprirlo leggendo Zainab conquista New York (Marcos y Marcos, nella traduzione di Francesca Conte), l’ultimo libro della scrittrice ghanese Ayesha Harruna Attah.
Ritmo vivace e profondo quello scelto dall’autrice, considerata una delle voci di rilievo della letteratura africana contemporanea, nata ad Accra nel 1983, espatriata negli Usa per studiare alla Columbia University, e poi trasferitasi in Senegal, dove attualmente vive e scrive. Già nota al pubblico internazionale e vincitrice di prestigiosi premi per i precedenti I cento pozzi di Salaga (che con un’approfondita ricostruzione storica narra i tempi della schiavitù) e Il grande azzurro, torna con le rocambolesche avventure di Zainab, una giovane ventenne africana che si trasferisce a New York con il sogno di diventare un’illustratrice professionista.
Alla ricerca dell’amicizia e dell’amore, catapultata nelle responsabilità dell’età adulta, Zainab sopravvive grazie alle voci delle sue antenate che l’accompagnano spassosamente nell’incedere di un futuro incerto. E così la realtà brutale e luminosa di una città sconosciuta, la gloria di Bushwick nel cuore di Brooklyn, l’incanto dei termini affettuosi del lessico familiare, il profumo speziato delle ricette ghanesi, portano il lettore a pensare: “siamo a New York, se ce la fai qui, ce la puoi fare ovunque”. E lo restituisce la stessa Ayesha Harruna Attah, raggiunta nel cuore dell’Africa, mentre ci delinea un’immagine vivida del suo libro dentro un senso comune di appartenenza.
Come è nato questo adorabile e frizzante romanzo?
“Nel disorientamento della pandemia ho sentito il bisogno di concentrarmi su di lui, da tempo lo rimandavo. Ho sempre desiderato scrivere di New York e cimentarmi in una storia d’amore. Così ho unito le due cose ed è nato Zainab Takes New York!”.
Ha creato un’eroina inesperta e determinata che sbarca a New York ed entra nella vita adulta. Vuole essere una riflessione sul senso del crescere?
“È la sua esperienza a New York. Non sono sicura che dopo questo primo libro Zainab sia cresciuta pienamente: sta attraversando una fase di maturazione e riflette ancora la direzione che vuole prendere. Credo che scopriremo nei libri successivi (sì, ce ne saranno altri!) se Zainab è davvero cresciuta o meno”.
Il vero sorriso del libro sono le tre antenate che si manifestano come voci nella testa della sconcertata Zainab: tre toni, tre radici, tre storie che si intrecciano con la sua. Come sono nate? Sono la sua intuizione?
“Questo è stato il primo libro che non ho pianificato e molti aspetti della vita di Zainab, durante la stesura, hanno trovato il loro posto da soli. Le tre voci sono apparse in coro mentre scrivevo. È difficile descriverle come sue intuizioni, soprattutto perché non sono sempre d’accordo… ma del resto il nostro cervello funziona in questo modo, dandoci continuamente idee per poi contraddirle subito dopo”.
Il padre di Zainab è cattolico, lei e sua madre sono musulmane; ciò che hanno in comune è il culto degli antenati. La comunità afroamericana ha tradizionalmente forti legami con la cultura del Vudù, diffusa proprio nella zona dell’Africa intorno al Ghana. Il passato aiuta ad andare verso il futuro?
“Nel popolo Akan (gruppo etnico dell’Africa Occidentale), c’è il simbolo di un uccello che si protende all’indietro per raccogliere un uovo dal dorso: il Sankofa. Simboleggia l’andare nel passato per trovare ciò di cui si ha bisogno per proiettarsi nel futuro. Per questo sono cresciuta con la convinzione che ci siano sempre lezioni da trarre dalle esperienze di vita dei nostri antenati per costruire un futuro migliore.”
Lei è nata ad Accra (Ghana) nel 1983, sotto il regime militare, in una famiglia di giornalisti molto aperta, dove le storie erano il pane quotidiano. Che ricordi ha dei suoi primi approcci alla scrittura?
“Si, i miei genitori erano giornalisti e questo mi ha permesso di osservare e apprendere gli effetti in tempo reale della scrittura. Mio padre scriveva articoli che ottenevano una risposta immediata (alla radio, sulla carta stampata, dalla comunità) e ho avuto subito chiaro il grande potere delle parole e del coraggio di scrivere la propria verità. Era un potere che ti mandava in prigione, un pò mi spaventava. Per questo i miei primi approcci sono stati timidi e ho tenuto, per molto tempo, il mio lavoro segreto”.
Questo le ha permesso di diventare una scrittrice contemporanea affermata e riconosciuta. Come si sente ad aver vinto importanti premi letterari?
“I premi sono quella spinta a migliorarsi sempre di più. Le parole hanno anche il potere di cambiare i cuori ed è l’aspirazione dei miei lavori”.
Quest’ultima opera può sembrare un allontanamento dagli altri suoi romanzi. C’è qualcosa che li accomuna?
“Sembra un libro diverso, ma nel suo cuore affronta anche la ricerca di un significato e di un’appartenenza. Utilizza una combinazione di passato, presente e futuro per mostrare come può essere l’esperienza umana. Quindi si appartengono”.
Nel libro si respira tanta cultura ghanese, ma è anche una dichiarazione d’amore per New York. Fino a che punto un ghanese può sentirsi un newyorkese?
“A New York sento spesso dire che ci vogliono dieci anni di vita per diventare un vero newyorkese. Non appena sono arrivata, ho sentito che era la città per me. Penso che a New York esiste una reciprocità: quello che sei disposto a dare lei ti restituisce. Nel Bronx vive una grande comunità di ghanesi e ho scoperto che, pur rimanendo fedeli alle loro origini, sono newyorkesi fino in fondo.”
Oltre alla celebrazione della libertà e dell’amicizia, un elemento centrale dell’essenza del libro è l’idea di sfida. C’è qualcosa di New York che è particolarmente difficile conquistare?
“Ho amato ogni istante del mio vivere a New York, ma mi è sempre mancato qualcosa. Non ho ancora capito cosa sia. Quell’impalpabile sensazione, senza nome, non sono mai riuscita a definirla e ad afferrarla. New York non si fa conquistare o forse sono stata io a non averla saputa conquistare”.
Ma riesce, grazie all’aiuto delle antenate, a farla conquistare alla protagonista del suo libro. Ecco, in questo tempo malavventurato, cosa direbbe Zainab ai giovani coraggiosi che desiderano approdare a New York?
“Mi è difficile rispondere a nome di Zainab, ma di una cosa sono certa: New York ti accoglie e ti permette di essere chi sei”.