Tornano in scena – ma solo per una sera – le atmosfere senza tempo di “A Bronx Tale”, il capolavoro teatrale scritto e interpretato da Chazz Palminteri nel 1988 e diventato cinque anni dopo un film cult diretto da Robert De Niro.
“Per la prima volta dopo oltre trent’anni sarò protagonista di un one man show. Reciterò la parte di tutti e diciotto i personaggi della storia, proprio come feci al debutto dell’opera”. È felice e impaziente Palminteri, attore, autore teatrale e sceneggiatore newyorkese, che si prepara al ritorno in teatro, in programma il primo ottobre al Town Hall di New York.
Lo abbiamo incontrato al ristorante di proprietà che porta il suo nome, punto di ritrovo sulla quarantaseiesima per tanti colleghi attori. A due passi dai teatri di Broadway; ma anche dall’Actors Studio che ha frequentato da ragazzo inseguendo il sogno della recitazione.

Il volto magnetico di Palminteri cattura ancora e di più oggi, a 70 anni. “Non vedo l’ora di andare in scena. Mi entusiasma anche il fatto che dopo lo spettacolo ci sarà un dibattito aperto al pubblico. Parleremo dell’opera teatrale, certo, ma anche del film e del musical che sono venuti dopo”. Una riflessione, insomma, su una pièce che ha attraversato generazioni, mantenendo intatte le tensioni narrative partorite dalla penna di Palminteri. Merito della potente ispirazione biografica.
In “A Bronx Tale”, infatti, sono condensati gli anni di formazione del giovane Calogero Anello. Alter ego dell’autore con cui condivide anche il nome di battesimo, è nato e cresciuto nel Bronx, figlio di una umile ma onesta famiglia italoamericana, la cui esistenza verrà sconvolta da un omicidio di cui il piccolo è casuale testimone. Un personaggio intenso, dimidiato tra due sistemi contrastanti di valori: quelli rappresentati dal padre Lorenzo e quelli che invece incarna Sonny, fascinoso boss della mafia locale.
“Ho scritto una storia che veniva dal cuore. È un racconto sincero, vero, che crea una connessione immediata con il pubblico”, spiega Palminteri descrivendoci il capolavoro che venne messo in scena per la prima volta a Los Angeles. “Una scommessa, scelsi di essere attore unico. Andò bene”. Più di quanto avesse immaginato, tanto che gli Studios fiutarono immediatamente le potenzialità per il grande schermo.
“Mi offrirono prima 250 mila dollari, poi 500 mila. Al tempo ero squattrinato, ma rifiutai di cedere i diritti. Volevo scrivere io la sceneggiatura e volevo interpretare Sonny. Tornarono con la proposta sbalorditiva di un milione. Declinai ancora”. La mossa più folle e fortunata della sua vita. “Due settimane dopo, a fine spettacolo ci fu una standing ovation. Mentre scendevo dal palco, il direttore di scena mi disse che in camerino c’era Robert De Niro che mi stava aspettando. Disse che aveva trovato lo spettacolo incredibile. Mi propose di scrivere la sceneggiatura del film e mi assicurò la parte di Sonny, mentre lui avrebbe interpretato mio padre. Stavolta accettai”, ricorda. Il film, debutto alla regia di De Niro, uscì nel 1993 ed ebbe un successo travolgente.
“Diciamo che sono sempre stato un uomo fortunato – scherza Palminteri, che dopo il film diventò una star. “Sapevo che avrei potuto recitare quella parte meglio di chiunque altro. E sapevo anche che avrei dovuto scrivere io la sceneggiatura perché conoscevo la profondità di quei personaggi”.
La storia di Calogero affascina ancora oggi. “Il film ha avuto un grandissimo successo in tutto il mondo. Anche in Giappone, ad esempio. In Europa lo studiano nelle scuole di cinema. Non bisogna essere italiani per appassionarsi”, sottolinea. “È una storia che non ha limiti di età, ci sono ragazzini che non erano neppure nati quando ho scritto “A Bronx Tale”, che vengono e mi dicono di adorarlo. Non so perché accada, credo di aver creato qualcosa che durerà per sempre e ne sono felice, onorato”, si schermisce Palminteri. “Ho scritto una bella sceneggiatura, ma ho avuto un grande regista come Robert De Niro. Un pessimo direttore avrebbe rovinato tutto”, ragiona.
Nessuna remora significativa nella comunità italoamericana del quartiere, che si vide messa a nudo al cinema senza filtri. “Qualcuno si lamentò, ma non avevamo usato nomi reali, non c’era da preoccuparsi”. Nemmeno i genitori ebbero da ridire. “Piuttosto, furono felici nel vedere il mio successo e anche tutti quei soldi che arrivarono”.
E sul denaro Palminteri ha le sue teorie. “Rende migliori le persone buone e peggiori quelle cattive. A me piace condividere le cose con la famiglia e gli amici. Certo non sono un santo, né una persona perfetta, ma cerco di vivere bene”, dice. La fama, ci racconta, non lo ha cambiato. “Sono nato nel Bronx, sono la stessa persona di sempre. Il successo è stata soltanto una parte della mia vita; certo meravigliosa, perché ho incontrato persone come Frank Sinatra, Robert De Niro, Jack Nicholson, Al Pacino, e tanti altri grandi attori”.

Ha scritto e recitato tanto dopo “A Bronx Tale”, nonostante l’eredità ingombrante del successo. “Il rischio era quello di lasciarsi paralizzare dalla paura di non riuscire a tenere alta l’asticella. Ma non puoi ragionare così. Sono riuscito a non comparare tutto a quel successo straordinario, altrimenti avrei rischiato di non scrivere più. Se non si è disposti a fallire, non si è disposti a rischiare veramente”. Una carriera prolifica, con oltre 50 film. Tra essi, “I soliti sospetti” e “Pallottole su Broadway” di Woody Allen, che gli fruttò anche una nomination agli Oscar.
Ma è legato all’Italia quello che Palminteri descrive come uno dei momenti più belli della sua vita. “Ho avuto l’onore di interpretare Giovanni Falcone”. L’attore, infatti, ha partecipato al film per la tv “I giudici” (“Excellent Cadavers”, 1999) tratto dal romanzo “Nella terra degli infedeli” di Alexander Stille, per la regia di Ricky Tognazzi. “Falcone era un uomo straordinario, coraggioso. Mi appassiona tantissimo la sua figura. Ho parlato con sua sorella, con persone che lo conoscevano. All’epoca dovetti scegliere tra un film in cui avrei interpretato Dean Martin e questo film su Falcone. Tanti mi sconsigliarono il giudice, sconosciuto negli Stati Uniti. Ma sapevo che dovevo farlo”, ricorda.
Mentre chiacchieriamo, i clienti di “Chazz Palminteri Italian Restaurant” si fermano a salutare il patron, che ha una parola per tutti. “Anni fa conobbi Frank Sinatra e diventammo amici. A New York lui andava in tutti questi ristoranti famosi. Così una volta gli dissi: ‘Frank un giorno aprirò il mio ristorante e ci verranno amici, celebrità’. Poi ho incontrato Jack Sinanaj il proprietario di Empire Steak House, entrambi volevamo aprire un ristorante italiano. Lo abbiamo fatto insieme ed è stato un successo”. Il segreto della popolarità da ristoratore, ci spiega, è tutto nell’amore smodato che ha per la cucina del nostro Paese. “La verità è che amo il cibo italiano. Mi piace andare in Italia a cercare nuove ricette e nuovi piatti. E i clienti li apprezzano”.
Palminteri ha lasciato il Bronx ma non New York. “Non potrei. Non c’è un altro posto come questo. Ho vissuto a Los Angeles, ma non ho mai venduto la mia abitazione. New York è casa mia. L’ho vista al meglio, ma anche nei momenti peggiori. Credo che ora la situazione oggi sia di nuovo difficile. È pericolosa, ma non come lo era in passato”. Per lui, questa città resta la migliore palestra per il talento. “All’inizio è proibitivo e costoso vivere qui, ma se vuoi fare l’attore devi farlo a New York. E se ce la fai qui, puoi farlo ovunque”.