Dal possente fiume Hudson alle onde dell’oceano della penisola di Rockaway, New York è circondata dall’acqua, eppure un numero sorprendente di newyorkesi non sa nuotare.
Dal 2008, 58 persone sono annegate nelle spiagge o nelle piscine della città, nel tentativo di sfuggire al caldo incessante. Il bilancio non comprende le persone annegate altrove, come nel fiume Bronx, che ha causato la morte di due adolescenti nel 2010 e di altri due nel 2014.
Si stima, inoltre, che molti decessi per annegamento avvengano lungo la costa del Queens, dove le correnti sono forti e le persone che non sanno nuotare o sanno nuotare poco, si trovano facilmente trascinate a largo. Il 10 giugno, due adolescenti sono annegati quando un banco di sabbia vicino al North Channel Bridge ha ceduto e sono precipitati in un tratto non lontano dall’aeroporto JFK. Esattamente una settimana dopo, altri due giovani sono annegati nelle acque di Rockaway Beach.
A New York, meno di un liceale su 4 sa nuotare e, secondo i Centers for Disease Control and Prevention, il numero di bambini da 1 a 4 anni che muoiono per annegamento è superiore a quello di qualsiasi altra causa di morte, ad eccezione dei difetti congeniti. Il dato più allarmante lo riporta uno studio della USA Swimming Foundation e dell’Università di Memphis, secondo cui quasi il 70% dei bambini afroamericani non sa nuotare e quelli di età compresa tra i 5 e 14 anni hanno quasi tre volte più probabilità di annegare rispetto ai bambini bianchi.
Le ragioni per cui un numero enorme di afroamericani non possiede neanche i rudimenti del nuoto, sono la povertà (il costo delle lezioni in gruppo è di $100 a settimana contro i $50 per una singola lezione privata), la discriminazione razziale e la paura dell’acqua, retaggio della schiavitù e della segregazione (gli schiavi fuggivano a nuoto e i proprietari resero impossibile questa abilità, inoltre ai neri non era consentito entrare nelle piscine o spiagge pubbliche).
Tutti gli sforzi compiuti, prima della pandemia, per aumentare l’accessibilità ai corsi di nuoto per le comunità a basso reddito e per colmare le disuguaglianze razziali storicamente radicate a New York, sono venuti meno. A causa della carenza di bagnini, il Dipartimento dei Parchi e della Ricreazione ha cancellato il programma “Learn to Swim“, che nel 2019 ha servito lezioni di nuoto gratuite a 20.506 bambini e 670 adulti; a risentirne anche le strutture private costrette a ridurre gli orari di lavoro, rincarare le tariffe delle lezioni e gestire lunghe liste d’attesa.
È una questione sociale che alimenta le disuguaglianze e preoccupa le famiglie e gli studiosi. “Mi sento male per questo”, ha detto Carol Irwin – ricercatrice dell’Università di Memphis e autrice dello studio USA Swimming – sulla moratoria delle lezioni di New York. “Alcuni di quei bambini e ragazzi annegheranno”.
È più cauto William Ramos, esperto di acquaticità e professore presso la School of Public Health dell’Indiana University, “l’apprendimento del nuoto è indispensabile, ma non trascuriamo la prudenza e la sorveglianza”. Lo raggiungiamo nel suo studio in Indiana dove argomenta la priorità della prevenzione e spiega come l’annegamento sia un tipo di morte facilmente evitabile.
Professore, in che modo l’ambiente acquatico contribuisce al quadro della salute pubblica e alla qualità della vita in una città come New York?
“L’accesso agli spazi acquatici è un’importante opportunità che deve essere garantita e accessibile. I risultati delle ricerche in termini di benefici per la salute fisica, sociale e mentale sono significativi. È dimostrato che i programmi di nuoto nelle strutture urbane rafforzano lo sviluppo comunitario, istruiscono, creano una società sicura, promuovono lo scambio interculturale e aumentano l’inclusione. Senza contare il fatto che le piscine per chi vive in condizioni di povertà, in estate, sono un luogo di ristoro e sollievo”.
Le prime piscine comunali di New York furono costruite, all’inizio del XX secolo, proprio per migliorare la salute e le condizioni di vita dei poveri e degli immigrati. Oggi con 8,4 milioni di persone, ci sono 51 piscine pubbliche all’aperto, piene di bambini che a stento rimangono a galla. Quanto è importante saper nuotare?
“Il nuoto, se si ha la fortuna di praticarlo, è un’amico per la vita. E poi l’acqua è ovunque: dalle vasche da bagno ai secchi, dai pozzi alle piscine, dai laghi ai fiumi, e gli oceani. Come esseri umani abbiamo bisogno e siamo attratti dall’acqua. Perché non dovremmo includerla nell’arsenale delle nostre abilità salvavita?”.
La sua è un’inconfutabile verità, ma in città non è considerata un’inclinazione naturale al pari dell’andare in bicicletta. Perché?
“È un atteggiamento insensato! Il nuoto non è solamente uno sport: è una competenza necessaria. Sin dalla tenera età è importante sviluppare l’acquaticità: a tre anni, si è in grado di galleggiare e nuotare a cagnolino, dai cinque si possono insegnare i vari stili. Questo è il percorso base che sicuramente aiuta, ma attenzione: non basta! Imparare a nuotare deve – per favore, lo scriva in maiuscolo o lo evidenzi – andare di pari passo con l’educazione alla sicurezza in acqua. Se manca, il rischio di incidenti è inevitabile”.
Quindi l’annegamento dipende, tranne in caso fortuito, o dal fatto di non saper nuotare o da quello di aver ignorato alcune minime regole di prudenza rispetto all’ambiente acquatico?
“Esatto, negli Stati Uniti e nello specifico a New York, gli annegamenti sono frequenti come tanti altri problemi di salute pubblica, ma quello che deve rassicurare è che sono del tutto prevedibili! L’80% avviene in una piscina domestica, questo significa che possono essere il più delle volte evitati. L’acqua è sia una grande attrazione per i bambini sia un potenziale pericolo. La sorveglianza da parte degli adulti, anche in presenza dei bagnini – che sono una garanzia in più – deve essere attiva e continua”.
È possibile attuare programmi efficaci di prevenzione degli annegamenti e sviluppare piani di sicurezza delle acque?
“Non esiste una sola regola che sia una panacea, quindi è opportuno intervenire su più fronti. Ci sono molte strategie per prevenire gli annegamenti, che se messe in pratica offrono un senso di protezione ed eliminano la paura. Sicuramente una maggiore sensibilizzazione tra le comunità e la costruzione di barriere protettive che richiedono il rispetto delle norme nei punti dove è vietata la balneazione. Sono un sostenitore dei corsi di nuoto ma ancora di più dei corsi sulla sicurezza per i genitori, come Water Safety – un programma gratuito che si concentra sui modi per minimizzare i rischi e sul primo soccorso. È da capire che non esiste sopravvivenza senza una consapevole competenza”.
La prevenzione, come adozione di una serie di provvedimenti per cautelarsi da un male futuro, è il riflesso di una maggiore sicurezza che si declina in fiducia. Finora, però, New York rimane una città circondata dall’acqua dove molte persone non possono nuotare. Cosa suggerisce il rumore della necessità che guarda alle nuove generazioni?
“L’accesso agli spazi acquatici e alle infrastrutture per insegnare a tutti a nuotare è diventata una sfida. La difficoltà richiede un intervento urgente, di lavorare sulle risorse fisiche, per distribuire un nuovo programma di apprendimento al nuoto senza emarginare le minoranze, le disparità hanno conseguenze fatali. E non smetterò mai di ripeterlo: educare alla sicurezza. Non c’è niente di più bello della gioia di un bambino che sguazza in acqua sicuro”.