Nicola Lucchi, a New York, ci è arrivato per amore. La moglie è nata a Manhattan e lui, che oggi è Managing Director del Center for Italian Modern Art, l’ha conosciuta quasi per caso quando era adolescente, come amica di penna in un periodo in cui i social ancora non esistevano. Alla fine del liceo, i genitori gli hanno regalato un viaggio per gli Stati Uniti. Era il 2000, i due si conobbero di persona e non si lasciarono più. Tutto partì da quel momento.
Il CIMA si presenta agli occhi di un visitatore come l’appartamento di un artista che ha aperto le sue porte al pubblico. Il palazzo al 421 di Broome Street, due passi da Little Italy, ospita il museo dal 2013, quando la storica dell’arte e collezionista Laura Mattioli decise di fondarlo.
In un giornata di sole primaverile, Lucchi ci accoglie con un caffè. Nel museo, infatti, c’è una grande cucina attrezzata e un lungo tavolo con al centro un vaso di tulipani arancioni. Quando gli chiedo il perchè di questa stanza così insolita per una galleria d’arte, risponde sorridendo: il CIMA è una casa e in ogni casa c’è un cucina.

La sala, fino al 18 giugno, ospita la mostra “Staging Injustice” curata da Giovanna Ginex, 20 opere provenienti da musei italiani e da collezioni private di prim’ordine che si concentrano su migrazione, lavoro, protesta e ingiustizia sociale come temi che hanno segnato la realtà degli artisti in Italia e negli Stati Uniti.
“Sono poco conosciute – racconta Lucchi, originario di Cremona e con un PhD conseguito in Italian Studies alla New York University – ma nonostante questo stiamo avendo un grande riscontro. Tante persone, attraverso i quadri, riscoprono momenti di un passato familiare, perchè la grande emigrazione di fine ‘800, in fin dei conti, è nella storia di diverse famiglie italoamericane”.
Alcuni hanno ancora la mascherina sul volto, ma anche al CIMA, come in tutta New York, la fase drammatica della pandemia sembra essere passata. Due anni fa, a marzo 2020, le attività si sono interrotte. Dieci mesi di stop fino a gennaio 2021, una pausa che ha scombinato un po’ i piani. Dai classici nove mesi di durata delle mostre, pensata per seguire le annate universitarie degli studenti che al CIMA possono chiedere una borsa di studio, il calendario si è dovuto rivoluzionare e ora l’obiettivo è organizzare due eventi all’anno.

“Noi ci rivolgiamo a tutta la comunità. Nasciamo come istituto di ricerca, quindi lo sbocco naturale è un pubblico di storici dell’arte, addetti ai lavori e studenti universitari, ma la nostra idea di base è far conoscere o riscoprire l’arte italiana moderna negli Stati Uniti. Un’arte che viene considerata alcune volte ancillare rispetto a quella francese, quando in realtà il futurismo si basa su assunti molto differenti rispetto a quelli del cubismo. Spesso, mostre che sono passate da noi hanno poi influito nelle scelte di altri musei sia a New York che nel mondo”.
Lucchi fa riferimento ad alcuni eventi che dalle sale del CIMA hanno preso ispirazione. Sono nomi importanti: cita la mostra di Depero, che fu l’origine di un altro lavoro organizzato alla fondazione Juan March di Madrid, e quella dedicata a Medardo Rosso, che permise la riscoperta dello scultore torinese al Museo Metropolitan e al MoMA.
E ora che la pandemia inizia ad affievolirsi e tra le strade di New York il frastuono torna a ricordare quello sentito fino al giorno prima che il covid scoppiasse, anche il CIMA ha tanta voglia di tornare ad accogliere i visitatori. Con un occhio di riguardo per i più giovani, quelli che l’arte la amano da sempre o quelli che ancora possono trovare in un’opera il colpo di fulmine.

“Tutti i nostri programmi, comprese le visite guidate e le attività didattiche, per le scuole sono sempre gratis. La regola vale anche per gli studenti che vengono singolarmente e che da noi trovano il biglietto gratuito”.
Un modo per avvicinarli all’arte moderna italiana e per permettergli di scoprire un pezzo di storia con cui magari non sono mai venuti in contatto. Tutto questo in una stanza.
D’altronde, come scrisse Edgard Allan Poe, “Parliamo dell’armonia di una stanza come parleremmo dell’armonia di un quadro: perché sia il quadro che la stanza possono venire ricondotti agli stessi principi incrollabili che regolano ogni forma d’arte”.
Lucchi e il CIMA l’hanno preso alla lettera.
Episodio 1: New York vs Covid: Stefano Albertini, la Casa NYU e la disfida della cultura italiana