La fila per entrare a Veselka, l’iconica locanda ucraina fondata nel 1954 da Wolodymyr Darmochwal e sua moglie Olha Darmochwal, è lunga di questi tempi. A volte si estende sulla East Ninth Street e avvolge la Second Avenue, nell’East Village. Questo perché è diventata il centro intorno a cui ruota la solidarietà dei newyorkesi per la il popolo ucraino.
In origine Veselka – che in lingua ucraina significa arcobaleno – era un’edicola e un negozio di caramelle che vendeva anche zuppe e panini. I newyorkesi la frequentano da quasi 70 anni, soprattutto per moda (è stata la location di molti film ed è frequentata da personaggi famosi, come Timothée Chalamet) e per godersi piatti unici, ma mentre la guerra di Vladimir Putin continua, si è trasformata in uno luogo simbolico per la città.

Molte persone vi si riuniscono per condividere paure e cercare ricordi della loro patria assediata, e anche quelle che non sono di discendenza dell’Europa orientale sentono il bisogno di incanalare la loro empatia e partecipare attivamente. Dalla città e dai sobborghi, avvolti nelle bandiere ucraine, sul marciapiede del locale, incitano al coraggio, quello stesso del presidente, Volodymyr Zelens’kyj, che ispira milioni di persone nel mondo.

Natania Sherman-Presser vive a tre isolati di distanza e, pur non sapendo molto del conflitto, come riporta il New York Times, è felice di fare la fila: “È bello vedere così tante persone, non sono mai stata in Ucraina, ma venire qui mi è sembrata la cosa giusta da fare”.
Il proprietario, Jason Birchar, racconta di essere stato travolto da “un’ondata di amore”. Da sempre molto attivo nella filantropia–- gli chef del locale sostengono enti di beneficenza per la fame – non ha esitato nelle ultime settimane a raccogliere fondi per la sua terra e l’invito è schietto: ogni menù del locale ha allegato due codici QR che indirizzano su diversi siti, a supporto dell’esercito ucraino, per rifornimenti di armi letali, giubbotti, caschi e zaini medici militari.

Probabilmente non è ciò che alcune persone si aspettano di leggere prima di ordinare un holubtsi (classico piatto ucraino), ma è fondamentale “spargere la voce”, ha detto Jason Birchard: “Non è solo una guerra contro l’Ucraina; è una guerra contro il mondo libero”. Tutte le donazioni che riceve sono gestite “dalla collaborazione con l’organizzazione Razom For Ukraine”: una start-up giovane, energica e progressista che ha sempre cercato di amplificare la voce dell’Ucraina al pubblico statunitense.
Anche se la parte della città in cui risiede Veselka non si chiama più Little Ukraine, New York ospita ancora la più grande popolazione di emigrati ucraini, quasi 150.000 abitanti. Circa il 40% del personale del locale è ucraino e sono in molti a inviare supporto economico alle famiglie lontane. Diversi dipendenti, riporta Birchard, sono costretti a portare il peso dei loro padri e fratelli chiamati in prima linea per fronteggiare gli orrori della guerra. “Alcuni sono così sconvolti che non vengono a lavoro. Sono appesi a un filo e impotenti”.

I sentimenti che prevalgono sono quelli della rabbia e dello spavento. “Mi dispiace stare qui e avere la mia famiglia in guerra. Mi viene da piangere”, dice Tania Didyk, una delle cameriere del locale. Alcuni dei suoi colleghi si raccolgono in preghiera e chiedono permessi per partecipare alle funzioni religiose, preferiscono non dire il cognome. Così come Tanya, un tecnico medico di 29 anni di origine ucraina, con il suo partner James, un farmacista di 34 anni, che fuori dal locale parlano al New York Post. “La mia famiglia si trova in una zona circondata da molti russi e carri armati. Sono nascosti negli scantinati”.

Dopo l’invito del presidente Volodymyr Zelens’kyj ai volontari di tutto il mondo a raggiungere l’Ucraina per “formare una legione internazionale” contro la Russia, sul canale Telegram “Ukraine Now”, con decine di migliaia di iscritti, sono state pubblicate le istruzioni e i passi da seguire per gli stranieri che volessero arruolarsi in questo reparto.
Finora, tuttavia, i newyorkesi che si riuniscono a Veselka non sembra vogliano imbracciare le armi, sebbene raccolgono fondi per l’esercito. “È molto emozionante”, ha detto Birchard, “chiedono a qualsiasi uomo normodotato di tornare e combattere”. “Alcuni membri del mio staff ne hanno parlato. Finora è prevalsa l’intelligenza, ma ovviamente li sosterrò se vogliono andare”.

La guerra vera è quella che chiede spietatamente anche ai ragazzi lontani dalla loro nazione da che parte stare: soccombere o combattere. E sabato la procura generale russa ha ricordato che “fornire assistenza” a uno Stato straniero per le “loro attività contro la sicurezza della Russia” costituisce alto tradimento punibile con 20 anni di carcere.
Tanti sono stati i giovani di New York (anche frequentatori della tavola calda), di età, etnie e provenienze diverse che si sono uniti alle proteste per la pace a Times Square. Mariya Soroka, di Razom For Ukraine, scrive: “Le persone devono sapere che è una guerra di tutti”. Intanto in Russia, per chi osa sfidare la cortina del silenzio, il prezzo da pagare è alto: oltre 7.500 persone sono state arrestate in 7 giorni di proteste in 50 città russe secondo Ovid-info, e i media indipendenti sono stati silenziati.

Dalla Rivoluzione di Euromaidan a Kyiv, nel novembre del 2013, è stata incredula l’attesa che una guerra potesse realmente esplodere, nuovamente, nel cuore dell’Europa. E in queste ore, di forte preoccupazione per il destino di un Paese, non si può fare a meno di chiedersi: come si sentirebbe New York se non ci fossero luoghi di ritrovo come Veselka? Dove, come mai prima d’oggi, vengono cucinate le parole di tante ricette ucraine, che sanno nutrire le menti affamate di speranza.
Perché è vero che “Gli uomini sono nati per uccidere, ma portano il distintivo della pace in testa”.