Nel cuore della Chinatown, a Manhattan, in un piccolo spazio, al piano terra del 44 di Mulberry Street – che si affaccia su Columbus Park – ha aperto, il mese scorso, “Yu and Me Books”: la prima libreria a New York di una donna asiatica-americana. Lucy Lu, 27 anni, ingegnere chimico, bibliofila autoproclamata, ha realizzato il sogno di una vita. La nascita del rifugio letterario nasce come risposta ai traumi razziali, dolorosi e spesso invisibili, che subiscono gli americani asiatici, traumi che sono diventati impossibili da ignorare durante la pandemia. La letteratura svolge un ruolo cruciale nell’empowerment e nella comprensione dei gruppi sottorappresentati e questa piccola libreria è il simbolo di una nuova era della narrazione, un luogo brulicante di vita, affinché le nuove generazioni, asiatiche-americane, si sentano meno un’identità e più una coalizione. “Un luogo dove le persone possono respirare, guarire e parlare tra loro”.
L’apertura di “Yu and Me Books” ha smosso grande consenso e partecipazione in città. Come ti fa sentire?
“Sono decisamente orgogliosa di me stessa. Anche se mi sembra di essere, lo stesso, in ritardo. Sono semplicemente super entusiasta di aver creato uno spazio, in cui le persone, come me, possono sentirsi al sicuro e rappresentate. È un progetto in continua evoluzione e so che non riuscirò mai a renderlo perfetto, ma è proprio questo il bello”.

È stato complicato e come hai scelto il luogo?
“C’è stato qualche imprevisto, ma ho inseguito questo sogno per tutta la vita, e ho sempre saputo di doverlo affrontare con flessibilità e apertura verso l’ignoto. Sicuramente non è stato facile, me lo aspettavo. Le difficoltà che ho incontrato sono state una meravigliosa esperienza di apprendimento (resa possibile dall’aiuto della caffeina!). Chinatown è sempre stata nel mio cuore. Ho molti ricordi: l’attività settimanale, mia e di mia madre, era andare nel quartiere di Chinatown, a Los Angeles – dove sono cresciuta – per fare commissioni e prendere lezioni d’arte. È stato l’ambiente perfetto: ci ha permesso di rompere le barriere linguistiche e culturali, che rendevano difficile tenere conversazioni casuali e intime – lei è nata e cresciuta in Cina, io in America- tra di noi. Abbiamo trovato il nostro modo di comunicare: senza parole, ma con i pasti. Il mio compagno, Matt, mi ha suggerito Chinatown, dopo che ho cercato spazi commerciali per 5 mesi, e me ne sono innamorata subito. Sono a mio agio con la comunità e sono grata di poter intrecciare la mia storia passata con quella futura”.

“Yu and Me”, un dualismo perfetto, che ricorda quanto è importante costruire una comunità interculturale. È un nome pensato o è venuto a cercarti dalla tua storia?
“Amo i giochi di parole e ho utilizzato il mio cognome per crearne uno che si adattasse bene al mio negozio. La libreria è, per molti versi, una lettera d’amore a mia madre. Amo quando le lettere dell’alfabeto simboleggiano storie duali, penso che si possa fare tanto con le parole”.
Una dualità asiatica-americana, che simboleggia l’unione di due culture.
“Tutti abbiamo qualcosa in comune, che possiamo scoprire solo con la condivisione gli uni verso gli altri. Le storie degli immigrati sono fatte di sopportazione e prove da superare, così ho sentito forte il bisogno di mettermi in prima persona sotto i riflettori”.
Dopo un anno, con un netto aumento di discriminazioni e molestie, nei confronti degli asiatici-americani, in tutto il Paese, la nascita della tua libreria è un segnale forte. Qual’è l’esperienza che desideri far vivere ai tuoi clienti?
“Desidero che pensino: siamo qui, siamo orgogliosi e siamo americani. Sono stata molestata e attaccata in passato e voglio che le persone nella mia libreria vedano le loro storie in primo piano e al centro degli scaffali. Mi preoccupo, continuamente, che mia madre venga vessata, e non c’è niente che posso fare per proteggerla, soprattutto quando sono lontana da lei. Cerco di incanalare tutto nell’amore che ho per il negozio e vorrei che chi entra si senta come nel soggiorno di un amico: un rifugio accogliente e sicuro”.
I libri possono essere un ottimo strumento per inviare messaggi importanti. Come hai proceduto per la selezione e come sono suddivisi gli scaffali?
“Tutti i libri sono scelti da me e le selezioni sono molto curate. Gli scaffali sono separati in: narrativa, saggistica usata e nuova, cucina, romanzi, bambini, New York e Chinatown, poesie e spettacoli teatrali. C’è una sezione speciale, dedicata al mio migliore amico, James Macdonald, scomparso nel 2020. È intenzionale non volere solo libri americani-asiatici, ma includere anche una gamma di storie diverse nella narrativa-saggistica, del resto, come in qualsiasi libreria”.
Quali sono i tre libri che non mancheranno mai?
“Quando le montagne cantano, di Nguyễn Phan Quế Mai. Pachinko, di Min Jin Lee. Una vita come tante, di Hanya Yanagihara”.

Ingegnere chimico e bibliofila autoproclamata, leggi più di 100 libri all’anno. Qual’è la tua esperienza di lettura ideale e cosa rappresentano per te i libri?
“La mia esperienza di lettura ideale è sgranocchiare cibo, bere vino, e coccolare il mio cane mentre leggo un bel libro (spesso con le repliche di Survivor in sottofondo). I libri per me sono, ognuno a loro modo, forme di viaggio e una costante conversazione”.
«Mi bastava sentire questo nome – Asia – perché il cuore mi battesse più in fretta». È la frase del libro Asian, di Prokosh. Qual’è il libro che consigli per far battere il cuore contro il pregiudizio asiatico?
“Minor Feelings: An Asian American Reckoning, di Cathy Park Hong”.
Sono previste firme d’autore ed eventi, ecco, se dovessi immaginare l’incontro letterario perfetto: quali sono i tre scrittori asiatici, che vorresti invitare?
“Questa è dura! È quasi impossibile per me sceglierne solo tre, ma mi piacerebbe essere una mosca sul muro per osservare e ascoltare un incontro tra: Amy Tan, Hanya Yanagihara e Ocean Vuong”.

Pensi che le voci asiatiche abbiano la risonanza che meritano?
“Penso che le voci asiatiche sono sempre state forti. Combattiamo da molto tempo per il nostro diritto a essere rappresentati nel modo giusto e per assicurarci che i lettori guardino e leggano gli autori asiatici. Proprio per questo è nata Yu and Me Books, ed è possibile solo perché esistono e il loro lavoro non è mai mancato”.
Le librerie sono un luogo che curano. Io posso solo immaginarlo, ma come ci sente, finalmente, a rispecchiarsi nei libri e a sentirsi riconosciuti?
“Sembra di essere a casa”.
Le barriere linguistiche e culturali spesso rendono difficile l’inclusività, cosa ti senti di dire a tutti i lettori che ancora non scoprono o non hanno il coraggio di aprire un libro di letteratura asiatica-americana?
“Che vi state perdendo! C’è una pletora di lavori bellissimi lì fuori, e mi chiedo: perché i lettori non espandono la loro prospettiva? Non credo che occorra coraggio per uscire dalla propria storia e guardare in quelle altrui”.
E cosa dirai alle persone, ferme sulla soglia, che tentenneranno ad entrare?
“Welcome home!”.