Non ha fatto tempo a sedersi che una signora lo ha fermato per salutarlo. Poco dopo si è avvicinato un uomo, funzionario di banca, per dargli il suo biglietto da visita. Succede al Pershing Square Café, tra Park Avenue e la Grand Central Station di New York, in una stanza ampia, dalle luci soffuse. Ho appuntamento qui con Piero Armenti, imprenditore nel settore turistico che ha ottenuto la popolarità grazie a un uso sapiente e ben mirato dei social. Con i suoi fan ha toni garbati e pazienti, non si indispone. Ma facciamo un passo indietro, andiamo all’inizio della storia di questo ragazzone che con lo sguardo cattura dettagli, li rielabora e li trasforma in strategie di marketing.
Dopo un periodo in Venezuela, Piero è arrivato nel Queens, dove si è inventato urban explorer. Con tono scanzonato e “alla mano” ha cominciato a raccontare la città dei suoi sogni su Facebook, creando il blog “Il mio viaggio a New York”. Video coinvolgenti per far scoprire angoli noti e meno noti della Big Apple. E quando è diventato un punto di riferimento per chi ama la città che non dorme mai, quando le richieste di consigli e di pareri per i viaggi si sono moltiplicate a dismisura, Piero è passato ai fatti, organizzando dapprima tour cittadini, poi aprendo un’agenzia.

Dai rooftop a Washington, dai transfer alle Cascate del Niagara, sempre più turisti italiani si sono rivolti a lui, tanto che nei tempi pre-pandemia la sua agenzia gestiva il tempo libero di centinaia di turisti a settimana.
Giornalista, scrittore, tour operator, imprenditore, influencer: Piero è queste cose tutte insieme. Piace a molti, non a tutti, ma anche gli haters fanno gioco alla crescita esponenziale delle visualizzazioni delle sue storie e dei suoi video, alcuni cliccati milioni di volte.
Ha le idee molto chiare su come fare business. Nel marzo 2020 quando l’allora Presidente Trump chiuse gli Stati Uniti ai voli europei fu, per tutti coloro che lavorano nel turismo, una doccia gelata. “Non avevo mai preso in considerazione la possibilità di una pandemia” dice finendo di sorseggiare un cappuccino. “Però avevo messo in conto che potesse capitare qualche altro imprevisto grave e importante, un atto terroristico ad esempio”. Tutto il mondo ricorda cosa avvenne l’11 settembre a New York, il dolore di quei momenti, la difficoltà del poi. “Mi sono salvato così, predisponendo un piano B, pensando che potesse capitare qualcosa, e reinventandomi”.
Salernitano, con una bella famiglia e affetti forti e sinceri, Piero ha dimostrato durante la pandemia di avere resilienza, una grande capacità imprenditoriale condita da un pizzico di arte campana dell’improvvisazione: “Ci sono prove che o ti distruggono o ti rafforzano, questo periodo duro, durissimo lo abbiamo superato, adesso siamo pronti a ripartire”.

La chiusura degli Stati Uniti è durata più di 600 giorni, mesi lunghissimi, ovattati, angoscianti. In mezzo ci sono state crisi sociali, morti, dolore, paura per il futuro, poi le speranze date dalle vaccinazioni. L’8 novembre i primi voli turistici sono atterrati negli States, molti proprio a New York.
E adesso si guarda al Natale, festività di cui già si respira l’aria in città: “Sì sì, ho notato da subito un aumento delle prenotazioni. Ovviamente c’è ancora incertezza, perché si viaggia in una situazione totalmente nuova. Però siamo fiduciosi, ritorneremo presto alla normalità, per le feste di fine anno ci aspettiamo numeri positivi”.
A New York qualche turista in più in effetti lo si vede, per la strada si sente parlare italiano, francese, spagnolo. I mercatini di Natale di Bryant Park brulicano di gente, tutta adeguatamente protetta. Nei locali tutti, nessuno escluso, il personale chiede ai clienti il certificato di vaccinazione e la carta di identità. Ci si adegua con il sorriso, ma con rigore: senza il documento in regola non ci si accomoda. Tutti sembrano consapevoli che anche queste abitudini possono essere indispensabili per il ritorno alla normalità. “New York è un grande luna park – ci dice Piero – il turista che arriva adesso si troverà di fronte a cambiamenti, che sono stati inevitabili”.
Qui basta guardarsi intorno: sono molti i negozi con le saracinesche abbassate, le attività fallite, eppure la frenesia è sempre la stessa, quella della città in perenne trasformazione. “Si, è cambiato tutto, ma anche sotto altri aspetti. Ci sono due nuovi osservatori, The Edge e Summit al One Vanderbilt, a ridosso di Grand Central Station. Hudson Yards è stata completata, la città continua a costruire e costruirsi”.

In effetti, poco distante, sulla Madison Avenue, sono in corso imponenti lavori per la realizzazione di un nuovo palazzo. In piena pandemia, sono stati ultimati i lavori per la realizzazione della Public Library, sulla Fifth Avenue, con una nuova terrazza.
Ma chi è davvero Piero Armenti? C’è differenza tra la persona e il personaggio? “Molta. Tutti sono convinti che io trascorra tutto il mio tempo tra la gente, pranzi, cene, feste. In realtà io amo trascorrere molti momenti da solo, tranquillo, passeggiando. Questa è una città che permette di rilassarsi. Vedi, io abito vicino a Central Park. Ci vado spesso. Cammino, mi riposo”.
L’estate scorsa sei stato in Italia per presentare il tuo ultimo libro Se ami New York, scritto in piena pandemia. Non solo: hai anche ritirato alla Camera dei Deputati il premio Learn Italy. Sul web abbiamo visto lunghe file di persone a chiederti l’autografo o un selfie, che effetto ti fa tutto questo? “Strano, perché non mi aspettavo questo tipo di percorso. Di solito succede di avere successo in Italia e soltanto dopo di arrivare qui. Ma io sono felice, la promessa che questa città fa a chiunque arrivi di regalare la felicità ha funzionato, almeno per me è andata così”.
Ci sono molti progetti nuovi nel futuro di Piero Armenti. Qualcuno abbiamo potuto intuirlo nell’estate, quando è stato in vacanza in Grecia e a Parigi e ha realizzato diversi video in strutture meravigliose. E Piero non soltanto non nega, ma conferma: “Sì, i prossimi progetti riguardano le grandi metropoli, mete di turismo internazionale, Tokyo ad esempio”. “Il mio viaggio” dunque non sarà più soltanto a New York. E chissà, forse proseguirà anche sul piccolo schermo: la pentola è già stata messa sul fuoco, tra non molto si potrà rivelare di più.