Poteva capitare solo in una città come New York, dove tutto è possibile, che il ribelle Chelsea hotel fuggisse con l’erudito Algonquin per realizzare il loro amore clandestino. Dopo aver dato un morso proibito alla grande mela, la combinazione della loro acquisita conoscenza, i loro geni e il loro genio hanno portato alla luce l’Albert hotel.

L’oramai dimenticato Albert hotel era posizionato all’angolo sudest di 11th Street e University Place e originariamente nasceva come un complesso di condomini che entro il 1887 vennero gradualmente uniti all’adiacente St. Stephen Hotel, e diedero vita all’Albert Hotel. Si trattava di un grazioso edificio in mattoni rossi con molti frontoni, torrette ed eleganti balconi in ghisa con una personalità pop-rock da un lato e un lato rivoluzionario dall’altro, l’unione tra Caino e Abele, o meglio, come un Dr. Jekyll e Mr. Hyde di quei tempi. Non ci dovrebbe dunque sorprendere che fu forse proprio qui dove Robert Louis Stevenson trovò l’ispirazione per scrivere il suo famoso romanzo.

“Incontriamoci al bar dell’Albert Hotel” disse Jimmy Stewart nel famoso thriller di Hitchcock “Rear Window”.
Non a caso l’Albert si affermò rapidamente proprio come punto d’incontro per importanti artisti, scrittori e cantanti, diventando una vera calamita di creatività. Il romanziere Thomas Wolfe, che soggiornò nell’hotel mentre insegnava alla New York University, nel 1924 scrisse in una lettera: “Il mondo è mio, e io, al momento, ne possiedo una porzione molto piccola ma gratificante – la stanza 2220, presso l’hotel Albert”. Hart Crane scrisse la sua poesia “The Bridge” durante la sua permanenza all’Albert, dove soggiornano anche molti altri ospiti famosi tra cui Robert Lowell, Anais Nin e Walt Whitman.
L’Albert Hotel è stato il luogo in cui colti luminari si mescolavano con “Rossi” rivoluzionari mentre negli anni Sessanta ascoltavano le canzoni di musicisti visionari.

Mentre erano all’Albert i radicali russi Maxim Gorky e Ivan Ivanovich Narodny sognarono la loro “Rivoluzione Rossa” come fece pure, anni dopo, il candidato presidenziale statunitense per il Partito Socialista dei Lavoratori, Farrell Dobbs. Frank Zappa, un altro ospite abituale diventò anche l’insospettata ispirazione per la “Rivoluzione di Velluto” in Cecoslovacchia.
Negli anni ’60 e ’70 mentre l’Albert versava ormai in uno stato fatiscente i suoi ospiti erano ancora in preda a uno sballo permanente. Come molte altre rock band, Frank Zappa & the Mothers of Invention, cantavano di sesso sfrenato e osceno mentre Candy e Jackie, le drag queen che erano conosciute come le ragazze Warhol, andavano gironzolavano per l’hotel con molte altre celebrità e artisti, talvolta solo di passaggio, tra cui Jackson Pollock e lo stesso Andy Warhol.
Nessun vero newyorchese si sognerebbe mai di abitare in un posto diverso dalla propria città, a meno che non sia in “un giorno d’inverno” quando “Tutte le foglie sono marroni e il cielo è grigio”, e ti trovi bloccato nel seminterrato buio e umido dell’Albert Hotel, in compagnia di scarafaggi psichedelici che ti girano attorno. È stato quello il momento in cui i Mamas & Papas hanno creato la canzone “California Dreaming” e The Lovin’ Spoonful scrissero “Do You Believe in Magic” a cui noi rispondiamo, sì ci crediamo!
In tutto il mondo le leggende ci fanno sognare, ma è solo a New York dove i sogni, possono realisticamente trasformarsi in leggende. La storia di Re Artù e della sua famosa Tavola Rotonda ha influenzato tutti noi sin da piccoli, ma fu all’hotel Algonquin che la Tavola Rotonda divenne una realtà oltre che l’ispirazione per molti brillanti scrittori e artisti. L’hotel si trova sulla 44ma strada tra la Quinta e la Sesta avenue, allora conosciuta come la “Club Row”, dal momento che anche l’Harvard Club, lo Yacht Club e il club dell’Ordine degli Avvocati si trovavano sullo stesso isolato. Quando aprì nel 1902, con la sua facciata di mattoni rossi e pietra calcarea in stile Beaux-Arts e le distinte finestre a golfo in rame, avrebbe dovuto chiamarsi il “Puritan”. Tuttavia, e con non poca ironia, fu invece chiamato “L’Algonquin”.
Non fù però per caso che l’Algonquin divenne il centro della vita letteraria e teatrale della città, se si considera che era posizionato in una zona che stava rapidamente diventando la più alla moda di New York. Al suo successo contribuì inoltre la recente apertura del famoso ristorante Delmonico’s e, nel 1905 dell’Ippodromo, il più spettacolare teatro che il mondo avesse mai visto con una capienza di ben 5.300 posti.

L’Algonquin Hotel faceva parte di un’epoca oramai passata piena di fascino, conversazioni erudite, martini secchi e arguzia pungente, che si intrecciava con l’occasionale ingestibile genio letterario che per un nulla andava fuori di mente.
Frank Case, il manager che prese le redini dell’Algonquin nel 1907, ebbe la visione e i mezzi per creare un ambiente che fosse confortevole per gli eruditi luminari letterari. JD Salinger fu un loro ospite così come William Faulkner il quale nella sua stanza all’Algonquin, scrisse il suo discorso di ringraziamento per aver vinto il Premio Nobel per la letteratura. Fu in questo ambiente creativo che l’agente teatrale John Peter Toohey organizzò, insieme ad altri scrittori e critici, un pranzo di benvenuto alla “Tavola Rotonda” in onore del giornalista e critico del New York Times Alexander Woollcott. Durante il pranzo, gli ospiti si divertirono a prendere in giro Woollcott in diverse occasioni e il pranzo riscosse un tale successo che Toohey suggerì a tutti i partecipanti d’incontrarsi a pranzo ogni giorno. Cosi nacque la Tavola Rotonda che divenne poi rapidamente nota come “The Vicious Cirle”.
Erano penne di talento con un eccezionale abilità all’intrattenimento.

I membri originali della Tavola Rotonda includevano l’editorialista Franklin Pierce Adams, la scrittrice Dorothy Parker, l’editore del New Yorker Harold Ross, il drammaturgo e regista George Kaufman, l’editore drammatico di Vanity Fair Robert E. Sherwood e anche l’umorista e attore Robert Benchley che una volta disse: “lo scrittore freelance è un uomo che viene pagato per pezzo, o per parola o… forse”.
La vincitrice del premio Pulitzer Enda Ferber li chiamò “La squadra velenosa” dicendo: “In realtà erano spietati qualora disapprovassero”. Le recensioni della Tavola Rotonda potevano determinare il successo o la condanna di qualsiasi scritto o film.

Una volta un addetto stampa chiese a Kaufman: “Come faccio a fare inserire il nome della mia protagonista nel tuo giornale?
Kaufman gli rispose: “Sparale”.
Il Washington Post riferì che una volta Edna Ferber si avvicinò al Tavolo indossando un abito a doppiopetto.
Vestita così “Sembri quasi un uomo”, disse Noel Coward.
“Anche tu” le rispose Ferber.

Dorothy Parker era una scrittrice per Vanity Fair e Vogue ed era stata licenziata dopo aver scritto una brutta recensione su uno spettacolo del potente impresario Florence Ziegfeld, ma venne poi assunta da Harold Ross, che aveva appena lanciato la rivista The New Yorker. Tuttavia, Ziegfeld non fu l’unico ospite che mirava alle stelle. L’attore Douglas Fairbanks, durante il suo soggiorno all’Algonquin per promuover il suo film “Robin Hood”, iniziò letteralmente a scoccare frecce dal tetto dell’hotel.
Fu la politica tuttavia ad avvelenare i pranzi della Tavola Rotonda e l’esecuzione di Sacco e Vanzetti nel 1927, dei quali Parker sosteneva l’innocenza mentre Woollcott era convinto della loro colpevolezza, segnò l’inizio della fine.
Nel 1939 venne aperto un cabaret nella Oak Room dell’Algonquin Hotel che purtroppo chiuse durante la Seconda Guerra Mondiale per poi riaprire nel 1981 andando a diventare uno dei più famosi cabaret di New York City, ospitando artisti come Barbara Carroll, Steve Ross, Diana Krall e lanciando le carriere di Harry Connick Jr. e Michael Feinstein.
“Non possono portarmelo via” composero George & Ira Gershwin. E fu durante la composizione di “My Fair Lady”, nella stanza 502, dove il manager minacciò gli autori Lerner e Lowe di portargli via il pianoforte e di gettarlo fuori dalla finestra dell’Algonquin hotel dopo che gli stessi avevano suonato ininterrottamente per diversi giorni e notti “Avrei potuto ballare tutta la notte”.
Dorothy Parker scrisse nel 1928 “Questa è la cosa bella di New York; è sempre un po’ di più quanto ti aspetti”.
Così, quando Anthony Melchiorri, il mio ex capo ricevimento al Millennium Broadway Hotel, diventò nel 2005 il direttore dell’Algonquin, lanciò una trovata pubblicitaria riuscendo a vendere un martini da 10.000 dollari a una coppia per il loro fidanzamento. Eppure, nonostante questo, non riuscì a eclissare Ben Bodne che, nel 1946, acquistò l’albergo per sua moglie, come le aveva promesso durante la loro luna di miele all’Algonquin Hotel nel 1924.
C’è tuttavia un ospite che non ha lasciato l’hotel dal 1923, da quando cioè Frank Case adottò un gatto randagio che l’attore John Barrymore chiamò teatralmente, Amleto. La tradizione continua ancora oggi tra Amleto, se maschio, e Matilde, se femmina.
E’ possibile che Matilde la gatta non avesse ancora usato le sue sette vite, ma questo non fermò la poco lungimirante decisione della catena dei Marriott che l’Oak Room era arrivata alla sua ultima e nel 2012 chiuse definitivamente il famoso cabaret.
L’Algonquin Hotel è ancora aperto ma, al posto di famosi e arguti scrittori, ospita ora mediocri bloggers avventori. L’Albert hotel fu convertito in appartamenti privati nel 1977.
Alla fine, non solo il Chelsea, ma anche l’Albert e l’Algonquin Hotel hanno pagato per il peccato originale.
Sfidando il conformismo avevano addentato la mela proibita e acquisito conoscenza, creatività e genio fino a quando il serpente della mediocrità non prese il sopravvento e la loro insostituibile unicità andò perduta per sempre.
L’unico sopravvissuto a combattere in prima linea è rimasto oggi solo Hamlet VIII… Il felino.