Se c’è una parte di New York dove i newyorkesi rigorosamente non vanno è Times Square. Nonostante questo centralissimo crocicchio di vie sia nel cuore di Manhattan i newyorkesi lo evitano come la peste perché è considerato una volgarissima trappola per turisti. Certo, Times Square è soprannominata l’ombelico del mondo ma chi abita qui, soprattutto quelli di una certa età, non dimenticano che prima di diventare un superconcentrato di turismo cippettone, questa “piazza” era il centro del vizio. Vizio brutto, con prostitute da due soldi, magnaccia di quelli pericolosi, sfruttatori da cui stare alla larga e spacciatori di infimo livello.
È in questo spirito che mi colpiscono le parole di Eve Peyser. Questa giornalista specializzata in politica e cultura è nata a Manhattan ed è cresciuta a Brooklyn. Newyorkese DOC, non c’è dubbio, e come tale inorridita dalle brutture di Times Square. Eppure…

Sulle pagine del New York Times qualche giorno fa la Peyser ha pubblicato un pezzo d’opinione nel quale descrive il suo ritrovato affetto per Times Square a seguito della pandemia. Io non sono newyorkese DOC come lei. Sono newyorkese DAD (d’adozione, l’abbreviazione me la sono inventata io) eppure mi ritrovo nelle sue parole.
“Nel bel mezzo della pandemia mi sono trasferita dall’altra parte del paese e mi ha sorpreso quanto poco mi mancasse New York”, ha scritto la giornalista raccontando di essersi spostata in Nevada. Molti mesi dopo ha incominciato a sentire la mancanza di New York. Ma non del East Village, il quartiere in cui era nata. Non di Greenpoint, il quartiere di Brooklyn dove abitava prima del Covid. “Avevo grande desiderio di Midtown — e più specificamente di Times Square”.

La Peyser prosegue dicendo più o meno quello che ha scritto io di quanto tutti i newyorkesi degni di questo nome aborriscano Times Square. “Le sue luci fluorescenti, le catene di negozi, i ristoranti di fast food, le insopportabili folle di turisti, i personaggi in costume che camminano sul filo delle entertainment e del mendicare”. Ma con il beneficio di oltre 4000 chilometri di distanza la Peyser ha riabilitato Times Square. Ritiene che sia una parte della città che senza scuse né spiegazioni è assolutamente e completamente quello che vuole essere — un grande, enorme shopping mall che punta dritto al portafoglio dei turisti. La giornalista punta il dito contro l’East Village dove è nata: un quartiere che fa finta di essere bohémienne quando in realtà è il parco-giochi dei rampolli benestanti che vivono grazie ai soldi delle loro famiglie-bene. Punta il dito contro SoHo che fa credere di essere un quartiere per artisti e tipi creativi quando in verità non è altro che un agglomerato di boutique costosissime. Times Square invece è vera. È volgare, incasinata, senza cultura, come fosse un parco della Disney piazzato nel bel mezzo di una ex palude in Florida.

È questo onestà che piace alla Peyser e che le manca. Immagino io che le manchi anche e soprattutto perché adesso vive in Nevada. Pensiamo per un momento a Las Vegas: esiste una città più finta di quella? Una città che vive del business del casinò pensati apposta per far perdere il senso della realtà e creare invece uno stato di sogno sospeso?
Io mi riconosco nelle parole della Peyser e per tutto il periodo della pandemia sono andato dozzine di volte a Times Square per cercare di avere il polso della città. Tutti si affrettano a dire: “Sì, New York si è ripresa. Tutto ha riaperto dopo il lockdown del Covid!” Ma credo che quelle stesse persone che fanno affermazioni simile non siano passate per Times Square e per Midtown da mesi e mesi. Certo, l’ombelico del mondo non è più deserto come lo avevo visto nell’aprile dello scorso anno. Non è più spettrale come l’avevo visto nuovamente intorno a Natale. Adesso di gente ce n’è e i personaggi in costume sono tornati a cercare di strappare quanti più dollari possibile a coloro che vogliono scattare una fotografia. Ma Times Square continua a essere un miraggio di quello che era prima della pandemia. “Chi se ne frega”, diranno i newyorkesi DOC. “Meglio così, così ci siamo liberati di quei turisti di bassa lega di cui comunque possiamo fare a meno”.

Veramente possiamo farne a meno? Veramente preferiremmo che i turisti americani con berretto e pantaloncini se ne stiano a casa loro nel cuore dell’America? Veramente vorremmo che i pendolari dei quartieri dormitorio a Long Island e nel New Jersey continuino a lavorare da casa anziché congestionare i grattacieli del centro direzionale? Veramente siamo contenti se gli alberghi intorno a Times Square continuino a essere mezzi vuoti? Forse abbiamo bisogno di un momento di sincerità: Times Square spopolata è un grave segnale del malessere in cui è sprofondata New York. Possiamo gioire che il 21 agosto Bruce Springsteen, Paul Simon e Jennifer Hudson terranno un grande concerto a Central Park con cui cementare la ripresa di New York. Ma io fino a quando non vedrò nuovamente i marciapiedi del centro intasati di gente non sarò convinto che la ripresa sia avvenuta.