
Non è necessario essere amanti della lirica per accogliere con entusiasmo la notizia di un prossimo concerto della cantante Renée Fleming. È sufficiente invece amare New York per vedere in questo evento un piccolo segnale di rinascita.
La soprano si esibirà il 21 aprile sul palcoscenico di The Shed, uno spazio pubblico che era stato inaugurato appena prima che New York finisse in lockdawn nel marzo 2020. La sua performance rientra in un programma di cinque esibizioni musicali intitolato “An Audience With…” nel quale gli organizzatori hanno creato un mix un po’ per tutti i gusti. Il primo appuntamento è per il 2 aprile con la cantante indie-pop Kelsey Lu, a cui farà seguito un concerto della Filarmonica di New York il 14 aprile, poi la Fleming e per ultima la commediante da cabaret Michelle Wolf.

“Riprende l’entertainment in presenza di pubblico a New York? Ma è una cosa grandiosa”, verrebbe da dire. In realtà, la notizia deve subito venire ridimensionata. Le cinque performance di “An Audience With…” saranno davanti a un pubblico limitato a centocinquanta persone che saranno sedute a debita distanza. Dovranno osservare le norme per la distanza di sicurezza mentre anche a New York la pandemia del Covid-19 continua a fare contagi e vittime. Centocinquanta persone sparpagliate per quasi 1700 metri quadri: non sarà esattamente una folla, ma comunque ci sarà una parvenza di spettacolo come non ne vedevamo da più di un anno. Ci manca l’intrattenimento. Ci manca la musica. Ci manca ogni forma di spettacolo.

Viene facile, dunque, di riservare un applauso agli organizzatori dei cinque appuntamenti. In realtà il loro è un gesto di disperazione. The Shed è un nuovissimo spazio artistico-culturale che fa parte di un complesso multi-uso chiamato Hudson Yards. Un po’ centro commerciale, un po’ centro direzionale, un po’ zona residenziale, un po’ polo turistico. Dietro a questo investimento edilizio di 25 miliardi di dollari c’era l’intenzione di portare vita, arte, cultura e business in questa vasta area vuota, nella parte ovest di Manhattan. Nel 2019 ci furono alcuni mesi di entusiasmo subito dopo l’inaugurazione, poi era arrivato il coronavirus e tutto si era bloccato. E sì che l’intero progetto non era ancora completo. Il complesso sarebbe stato completato solamente nel 2024. Le conseguenze rischiano di essere catastrofiche. Condomini di superlusso per lo più disabitati; grattacieli con la maggior parte degli uffici vuoti; un centro commerciale con la metà delle vetrine mai allestite; ristoranti top che appena vista la brutta aria hanno abbandonato la zona. Un vero disastro.

I grossi nomi che avrebbero dovuto fare da traino agli altri si sono comportati come il comandante di una nave che sale su una scialuppa prima che tutti i passeggeri siano in salvo. In autunno il prestigioso grande magazzino Neiman Marcus aveva tagliato la corda dichiarando bancarotta. Il celebrity chef Josè Andrès aveva contenuto il danno personale chiudendo in fretta e furia il lussuoso ristorante che aveva aperto in zona, e così avevano fatto altri ristoranti che avrebbero dovuto invogliare il pubblico a frequentare Hudson Yards. Perfino The Vessel era diventato un problema. Si tratta di una struttura in metallo alta cinquanta metri percorribile a piedi in salita, come una sorte di risposta newyorkese alla Torre Eiffel di Parigi. Ma dopo la terza persona che si era tolta la vita gettandosi da The Vessel, questa “attrazione turistica” ha dovuto venire chiusa al pubblico. Anche la presunta scuola per 750 studenti non è mai stata aperta ed è ormai slittata indefinitivamente la data per una possibile inaugurazione. A che cosa serve una scuola se in zona ci sono migliaia di appartamenti sfitti? Stessa cosa per gli uffici.
Ma il vero interrogativo è: i newyorkesi in generale torneranno a lavorare negli uffici, oppure lo smartworking è il futuro del mondo lavorativo? Se non si tornerà in massa a lavorare collettivamente in ufficio, il futuro di Hudson Yard è a dir poco allarmante.

Sono mesi di grandissimo stress per i dirigenti di Related Companies, il gruppo di investitori che aveva finanziato il progetto di Hudson Yards. Gli investitori sono complessivamente 2400, trentacinque dei quali sono entità cinesi che hanno fatto causa affinché la Related Companies apra i libri contabili e renda noto i piani per salvare questo investimento che rappresenta il più grande investimento edilizio privato nella storia americana.

In questo scenario non si fa fatica a capire perché quei cinque concerti davanti a un pubblico esiguo non siano altro che una goccia in un mare di guai. Saranno appuntamenti gradevolissimi con alcune ore di ben meritato intrattenimento. Ma dire che a New York inizia la ripresa solo perché la voce di Renée Fleming riecheggerà per sessanta minuti fra le pareti di The Shed è un’esagerazione che mi sembra prematuro fare.
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