Ricorderemo per sempre le persone con le quali abbiamo trascorso la primavera del 2020. Un anno dopo il primo caso di SARS-CoV-2 nello stato di New York, rimane impresso nelle nostre menti il momento in cui abbiamo capito che la vita come la conoscevamo fino ad allora era finita. Per interminabili mesi saremmo stati costretti a condividere ansie, paure, speranze e noia con chi si era trovato al nostro fianco, fisicamente o emotivamente, nelle ore dell’annuncio del lockdown.
L’esercizio di memoria per me è molto agevole, visto che oltre a un gatto bianco e nero di una famiglia in fuga da Manhattan, la mia ristretta bolla domestica includeva due uomini che ad oggi continuano a dominare le giornate con la loro esistenza.
Per uno dei due è inevitabile: il fidanzato-nel frattempo- diventato-marito adesso vive sotto il mio stesso tetto a tempo pieno e la sua mera presenza fisica è un souvenir di come siamo riusciti a sopravvivere a settimane di chiusura forzata senza azzannarci, almeno non in maniera mortale. Il secondo uomo della mia quarantena, il governatore di New York Andrew Cuomo, fa capolino quando apro i giornali, o quando tiro fuori il barattolo di caffè della Brooklyn Roasting Company con la sua faccia, o quando rinfresco il lievito madre che ho creato e battezzato in suo onore ad aprile, o quando il subconscio lo fa apparire nel sonno.

È un personaggio ricorrente dei miei sogni dallo scorso marzo. In uno eravamo assieme a un ristorante e assaggiavamo piatti italiani. In un altro eravamo assieme a una riunione e discutevamo delle elezioni presidenziali di novembre e di chi avrebbe vinto la nomination del Partito Democratico. In un altro ancora eravamo assieme in viaggio e non so nemmeno spiegare cosa accadeva, ma mi sono svegliata contenta perché anche se non in carne ed ossa, Andrew Cuomo aveva espresso un apprezzamento sulle mie capacità di scrittura. Per quanto assurdi e bizzarri, non erano mai sogni erotici, se non nella misura in cui è erotico sentirsi rassicurati e credersi nelle mani giuste durante una pandemia globale.
Non ho dubbi sull’origine dei miei deliri onirici. Mentre i fortunati con un lavoro da remoto potevano rifugiarsi su Zoom per scappare al tamtam di notizie tragiche, e mentre gli sfortunati senza più un lavoro potevano buttarsi nelle serie tv e nella cucina per risollevare il morale dal dramma del licenziamento, il mio impegno con La Voce di New York significava essere perennemente connessa e in allerta, soprattutto per le conferenze stampa di Cuomo dopo la colazione.
Costretta a coprire anche le ultime dalla Casa Bianca nel pomeriggio, il contrasto tra il governatore di New York e il presidente Donald Trump mi è stato evidente da subito (ne ho scritto qui il 4 maggio). È vero, a guidarci a Washington c’era un buffone, uno che faceva girare gli occhi al cielo agli immunologi della task force contro il coronavirus, uno che illudeva la gente sui tempi della riapertura, uno che suggeriva terapie a base di iniezioni di disinfettante, raggi ultravioletti e farmaci antimalarici, ma noi a New York eravamo al sicuro con Cuomo, perché da lui avremmo saputo solo i fatti – “just the facts”, ci ripeteva – non le opinioni, o le cure da sciamani, o le promesse infondate, e da lui ci potevamo aspettare decisioni forti e repentine, basate sulla scienza e non sulla convenienza politica. Giorno dopo giorno, il “governatore d’America” ha conquistato me e milioni di cittadini in tutto il Paese con dirette televisive quotidiane, tanto da farmi dimenticare delle sue politiche centriste e della sua complicità con l’IDC, il gruppo di dem conservatori che ha regalato la legislatura di Albany al controllo dei repubblicani fino al 2018.

Nel calendario parallelo del COVID-19, mi sembrano passati decenni da quando ho impiegato del tempo libero a montare video delle migliori conferenze stampa con sottotitoli in italiano per amici e parenti in Europa, o da quando ho partecipato alla puntata del podcast “Tutti pazzi per Cuomo”, di cui ora provo vergogna. Cinquantaquattro settimane dopo nel calendario gregoriano, Cuomo mi ha aiutato a riaprire gli occhi su chi è veramente. Scrive Nick Paumgarten sul New Yorker, ci sono molte ragioni di essere ansiosi ora che New York è sul punto di riemergere da un anno di pandemia, come “la sconsiderata e prematura revoca delle restrizioni altrove da parte di alcuni governatori recalcitranti, quelli suscettibili a ciò che il President Biden ha definito ‘maniera di pensare alla Neanderthal’, mentre il nostro governatore, nella costernazione dei newyorkesi sedotti dal suo atto pandemico, si è trovato invischiato in uno scandalo per i suoi modi da uomo delle caverne”.
Da Cuomo abbiamo finalmente imparato altro: che in perfetto stile trumpiano, anche i fatti possono essere manipolati, nascosti, rivisitati, specialmente quando indicano una strage nelle case di riposo, e le decisioni forti e repentine non sono mai abbastanza rapide se si è ossessionati da una guerra fratricida con il sindaco Bill de Blasio e i ritardi del puntarsi il dito contro costano migliaia di vite innocenti.
A gennaio un’indagine del procuratore generale dello stato di New York Letitia James ha rivelato che l’amministrazione Cuomo avrebbe contato al ribasso le morti tra gli ospiti delle case di riposo, riportandole nel totale complessivo dei decessi quando avvenivano in ospedale. Secondo il New York Times, una prima revisione dei numeri sarebbe avvenuta già a giugno. Pochi giorni più tardi, il New York Post ha pubblicato in esclusiva la notizia che i collaboratori del governatore avrebbero volontariamente ritardato la trasmissione dei dati reali all’assemblea statale e alla Casa Bianca per timore di un’inchiesta.

Prima di riprendersi dal danno alla sua reputazione, a febbraio Cuomo è stato travolto da un altro scandalo quando la candidata a presidente del borough di Manhattan Lindsey Boylan, ex funzionaria dell’agenzia statale per lo sviluppo economico, ha confessato con un lungo post su Medium di aver subito molestie sessuali da parte del governatore. E come in tutti gli incubi con predatori seriali che usano il proprio potere per garantirsi protezione e impunità, il muro di silenzio è crollato: ad oggi sono sei le donne che accusano Cuomo di commenti, domande e gesti inappropriati, con la più grave, l’ultima, a riferire di un’aggressione sessuale. Il New York Times e il New York Magazine hanno descritto nel dettaglio decine di testimonianze di un ambiente di lavoro “tossico”, dove le impiegate ricevevano pressioni a indossare vestitini attillati e tacchi alti per entrare nelle grazie del governatore, ed è difficile che molte altre vittime non siano pronte a farsi avanti.
Uno ad uno, Cuomo ha perso l’appoggio di decine di rappresentanti dem ad Albany e a Washington. Quasi tutta la delegazione di New York al Congresso ha chiesto le sue dimissioni, inclusi i due senatori Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato, e Kristen Gillibrand. Molti dei candidati sindaco di New York nell’affollata corsa alle primarie di giugno hanno ripetuto l’appello a un passo indietro nelle scorse settimane. I sondaggi segnano un calo di popolarità che potrebbe influire sull’ipotesi di un quarto mandato.

Ed io? Come ogni vittima di truffa, mi domando quando ho perso la mia capacità di discernere il vero dalla finzione politica, mi chiedo dove posso aver fallito nel giudizio, mi interrogo su quali trappole devo aver ignorato. Era quando ci distraeva parlando della mamma, del fratello, delle figlie e dei loro fidanzati, che lui da bravo padre-padrone non sopportava? Era quando discuteva delle tradizioni italoamericane e del pranzo della domenica con il nonno Andrea e il padre Mario? Perché ho cominciato ad accorgermi dell’inganno nella quiete estiva prima della seconda ondata, quando Cuomo ha avuto l’arroganza di pubblicare un libro per un compenso di sette cifre con le sue “lezioni di leadership” su come sconfiggere il virus, nonostante New York sia una delle aree con il più alto numero di morti al mondo?
I segnali c’erano, c’erano sempre stati, ma forse non ci venivano raccontati, o forse non li volevamo vedere. Forse avevamo semplicemente bisogno di sentirci speciali, governati da un uomo speciale, ora che l’attenzione del Paese e del mondo era su New York per l’apparente colpa di aver importato il virus dal vecchio continente. Perché se invece Andrew Cuomo era solo un bully incompetente, allora noi newyorkesi eravamo davvero da soli, abbandonati al suono incessante delle sirene nelle strade deserte della città, mentre il virus portava via oltre trentamila dei nostri parenti, colleghi, amici, vicini e fellow New Yorkers.