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March 12, 2021
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Pop-corn al cinema o sul divano? A New York meglio lo streaming a buon mercato

Le sale cinematografiche riaprono, ma la pandemia cambia le abitudini. Quale sarà il comportamento del pubblico verso i film?

Andrea ViscontibyAndrea Visconti
Meglio frenare l’ottimismo: senza turisti, l’arte a New York sprofonda nel buio

Theaters and cinema houses were closed during the Covid-19 pandemic. Photo: Terry W. Sanders

Time: 4 mins read

Riaprono i cinema, si torna a uscire di sera, New York rincomincia a vivere. Verrebbe voglia di urlare dalla gioia, ma in realtà sarebbe meglio usare toni cauti e mettere le cose nella giusta prospettiva.

É vero che a partire da venerdì 5 marzo il governatore Andrew Cuomo ha autorizzato la riapertura delle sale cinematografiche a New York. Ma è altrettanto vero che in quel giorno sono stati solamente una mezza dozzina i cinema ad accogliere nuovamente il pubblico in sala. È un numero irrisorio rispetto alle 234 sale in tutti i quartieri della città. Certo, per gli amanti del cinema indipendente è stato un gran giorno. Il pubblico si è nuovamente riversato su l’Angelika Film Center, una multisala a SoHo che attira giovani e amanti di film stranieri e di nicchia. Il New York Times ci ha perfino informato che Marilyn Evans, grande amante del cinema, era così entusiasta per la riapertura dell’Angelika che si era assicurata cinque biglietti per vedere film nei quattro giorni successivi. “Finalmente! Mi mancava da morire”, aveva dichiarato la settantatreenne newyorkese che è stata la prima persona a comprare un biglietto all’Angelika dopo una chiusura forzata durata un anno. Alle 9 e 45 di venerdì mattina la Evans era salita su per gli otto gradini che portano dalla strada al botteghino non appena si era levata la saracinesca.

Stesso entusiasmo al non lontano IFC Center, un multisala del Greenwich Village che da anni offre un menù di film indipendenti. Fra le prime a comprare un biglietto venerdì é stata Kristina Davis che non vedeva l’ora di vedere la satira britannica In The Loop. “C’è qualcosa di molto speciale quando vedi un film in una sala cinematografica”, ha detto la Davis. “Presti più attenzione a quello che avviene sullo schermo perché non puoi fare contemporaneamente altre cose come puoi fare a casa”. Eppure, la Davis ha dichiarato al Times di essere ben attrezzata nel suo appartamento di Brooklyn. Ha un televisore a grande schermo dotato di ottimo sistema audio stereo. Ma, il problema, afferma questa insegnante, è che a casa guarda i film giocando col suo gatto, rispondendo agli sms che arrivano o leggendo le sue e-mail.

I teatri di Broadway pieni di vita nel 2014 (Foto di Terry W. Sanders)

Ci sono poi persone come Patricia Lakin e suo marito Lee che hanno accolto con entusiasmo la riapertura dei cinema per un motivo quasi di identità culturale. “Non andiamo quasi mai a vedere i grandi film di cassetta. Preferiamo film di nicchia e ci fa sentire bene sapere che la sala è piena di persone che condividono le nostre stesse scelte culturali”. Ma la Lakin rimane per un istante soprappensiero davanti alla realtà delle piattaforme di streaming che sono entrate prepotentemente in moltissime case mentre il mondo intero era in lockdown. “Beh, effettivamente il costo è ben diverso. In due possiamo vedere tutti i film che vogliamo per un mese intero per meno di dieci dollari. Invece, andare al cinema significa pagare ogni volta quindici o sedici dollari a persona. E per noi pensionati questo fa una bella differenza”.

Un anno di pandemia ha cambiato definitivamente il modo in cui il pubblico è disposto a consumare i film? Io stesso nell’ultimo anno ho visto molti più film di quanti non ne avessi visti complessivamente negli ultimi dieci anni. E il costo è stato irrisorio — un centinaio di dollari per tutto l’anno. Non solo: Netflix, Prime, Hulu e le altre piattaforme in streaming hanno proposto anche ottimi film poco conosciuti che avrebbero avuto difficoltà a trovare una collocazione nelle sale cinematografiche.

Ne parlava qualche giorno fa Ramin Baharani. Il regista del nuovissimo film indiano “White Tiger”, nel corso di una video-intervista con Giulia D’Agnolo-Vallan, raccontava come l’accordo con Netflix per la produzione del film, gli ha permesso una distribuzione mondiale che sarebbe stata impossibile senza il supporto del gigante americano dello streaming.

Cinema Village, Greenwich Village, NYC (di Wally Gobetz, Flickr)

È uno smottamento nelle abitudini del pubblico di cui New York deve tenere presente. I numeri sono impressionanti. L’area metropolitana di New York costituiva, prima dell’epidemia del Covid, il 7,4 per cento del totale di biglietti cinematografici venduti in tutti gli Stati Uniti. Non solo. Il 40 per cento di questi biglietti era venduto in quarantacinque cinema della città. Si fa presto a capire la situazione: non sono i cinema d’essai come l’Angelika e il IFC Center a guardare in avanti con preoccupazione. Sono le grandi catene di distribuzione coma la Regal o la AMC. Queste ultime stanno guardando al futuro in un modo che esula dalla riapertura di sei o sette sale cinematografiche a New York all’inizio di marzo. Stanno studiano accordi complessi per un nuovo modo di distribuire il prodotto cinematografico anche alla luce delle nuove abitudini del pubblico.

E mentre attendiamo di capire la direzione che intendono prendere questi giganti noi a New York ci possiamo rallegrare di tornare in forma limitata al cinema, seduti a distanza di sicurezza dalle altre persone fra il pubblico. La sala può avere al massimo 25 persone e se si tratta di una sala piccola possono essere occupati solamente il 25 per cento dei posti. Io per il momento rimango a casa. L’altra sera ho visto su Prime il nuovo film di Eddie Murphy. Dopo trentatré anni, il comico afro-americano si propone nuovamente nel ruolo del re di Zamunda. É l’attesissimo seguito del film “Il principe cerca moglie”, un grandissimo successo del 1988 il cui titolo originale era “Coming To America”. Non ho dovuto fare la fila per il biglietto, non mi è costato nulla perché sono già un abbonato di Prime e ho potuto godermi un gelato fuori dal mio frigorifero mentre ridevo alle battute di Eddie Murphy e Arsenio Hall.

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Andrea Visconti

Andrea Visconti

Andrea Visconti New York Stories è anche il nome della mia pagina Facebook. É una rubrica in cui cerco di cogliere spunti di riflessione sulla quotidianità nella più importante metropoli al mondo, al di là del suo glamour. Per oltre vent’anni sono stato corrispondente da New York per i giornali locali del Gruppo Espresso/Repubblica. Ho collaborato a La Repubblica e al settimanale L’Espresso, lavorando anche nel settore multimediale con video per Repubblica TV e un podcast per Repubblica Sera. Sono stato per anni collaboratore di Radio Capital con uno spazio settimanale fisso su New York. Andrea Visconti New York Stories is the name of my Facebook Page. In my online column I try to develop topics that make us reflect on life in the most important metropolis in the world. For over twenty years, I was the New York based correspondent for the chain of regional newspapers of La Repubblica/L’Espresso. I contributed to La Repubblica and to the newsweekly L’Espresso, with a special interest in their multimedia platforms, such as Republica TV and Repubblica Sera. For several years I contributed to Radio Capital with a weekly radio spot from New York.

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