Quando a fine agosto il Metropolitan aveva annunciato la riapertura del museo dopo mesi di chiusura causa Covid la notizia era stata accolta con un sospiro di sollievo. “New York riprende, rinasce, torna a vivere”, avevano detto i più ottimisti. Io invece ero stato alquanto cauto benché di natura sia un ottimista.
A mettere i freni al mio ottimismo era stato forse proprio il fatto che il giorno in cui il museo aveva riaperto le porte mi ero precipitato lì — sulla Fifth Avenue e l’81nesima Street — a riempirmi gli occhi di arte e respirare cultura a pieni polmoni. Una lunga coda si snodava dal portone principale giù per la gradinata e lungo la parte destra dell’imponente edificio fino a scomparire girato l’angolo. Ma nei giorni, settimane e mesi successivi la coda era andata progressivamente riducendosi. Dopo l’entusiasmo iniziale pure i newyorkesi erano tornati a chiudersi in casa. Perché nei musei e nelle istituzioni culturali di New York tornino ad esserci le masse c’è bisogno che torni il turismo. Mancano quei sessantotto milioni di turisti — sia americani che stranieri — che annualmente discendono su New York e desiderano prima di tutto di assaporare la straordinaria offerta di eventi culturali che caratterizzano la vita nella Grande Mela. Senza il sostegno del grande turismo le istituzioni culturali di New York non sono in grado di stare in piedi.

I numeri parlano chiaro. Il 66 per cento delle persone che pre-Covid lavoravano nel settore artistico, culturale e ricreativo ha perso il posto di lavoro. É un dato ufficiale diffuso dall’ufficio del sindaco Di Blasio. È il settore dell’economia newyorkese più colpito dalla pandemia, ma anche un settore trainante. Perché visitare la Grande Mela se musei, teatri, gallerie d’arte, sale-concerto, club sono chiusi? Perché continuare a vivere nella costosa New York se alla fine di una giornata lavorativa non ci sono diversivi culturali su cui ricadere? Perché trasferirsi ad abitare qui nella speranza di una carriera nelle arti se le arti sono moribonde?
“Il settore ricreativo-culturale è un punto fermo per quanto riguarda l’abilità della nostra città di attirare in ugual parte tre segmenti-chiave — attività commerciali, residenti e visitatori”, si legge nel rapporto. “Ma questo settore dipende dalla presenza del pubblico che desidera essere parte di esperienze culturali collettive. La pandemia ha profondamente alterato questo stile di vita”.
Mettiamo le cose in prospettiva. Nel decennio fra il 2009 e il 2019 il settore cultural-ricreativo era cresciuto in modo impressionante. Aveva registrato un più 42 per cento, superando di gran lunga la crescita totale del settore privato. Si parla specificamente di arti teatrali, musei, istituzioni culturali, luoghi di intrattenimento musicale e sportivo. Complessivamente si parlava di circa 90 mila persone impiegati in 6250 istituzioni ricreative. Continuiamo con i numeri? Lo stipendio medio era appena sotto agli 80mila dollari. Fatte le dovute moltiplicazioni stiamo parlando di un volume globale di stipendi pari a circa 7,5 miliardi di dollari.

Con questi numeri in testa adesso immaginiamoci la situazione come si è evoluta nei mesi successivi. Nel febbraio 2020, appena prima che la pandemia mandasse New York in lockdown erano impiegate nel settore dell’intrattenimento 87mila persone. Ad aprile solamente 34mila persone avevano ancora un posto di lavoro in questo settore.
Specificamente a rimanere a casa sono stati 14.300 newyorkesi che lavoravano nei musei della città, nelle istituzioni storico-culturali e nei parchi. Prendiamo per esempio il Whitney. La direzione del noto museo un paio di settimane fa ha annunciato il licenziamento di quindici dipendenti, una manovra indispensabile alla luce del fatto che l’affluenza di pubblico, e dunque la vendita di biglietti, è in una situazione disperata. Dopo il lockdown il Whitney aveva riaperto le porte a fine agosto, ma in sei mesi aveva venduto in media l’80 per cento in meno dei biglietti che aveva venduto l’anno precedente nello stesso periodo. Eppure, già nel 2020 il Whitney aveva dovuto alleggerire gli organici. Aveva licenziato 76 persone dopo avere calcolato che il lockdown avrebbe rappresentato una perdita secca di 7 milioni di dollari.
“Purtroppo la pandemia continua ad avere un profondo effetto sulle finanze del Whitney” ha detto il direttore Adam Weinberg annunciando che in un anno il museo ha accumulato perdite per 23 milioni di dollari. Ma quello che è più preoccupante sono le prospettive guardando in avanti. Secondo l’ente del turismo newyorkese solamente nel 2025 si tornerà allo stesso numero di visitatori pre-pandemia. Ogni anno si faranno piccoli passi avanti, ma da qui al 2025 abbiamo davanti a noi un lungo periodo di tempo estremamente difficile.